Regia di Nando Cicero vedi scheda film
Triviale commedia sexy di una banalità e di una idiozia fin mortificante, ingiustamente rivalutata e divenuta, “d’ufficio”, un piccolo cult. Tutta colpa, nel 1982, di un gruppo di censori con le fette di salame davanti agli occhi, i quali, dopo appena due settimane dall’uscita (col divieto ai 18), hanno deciso di ritirare la pellicola dal mercato per oscenità. Provvedimento atto a far sparire più il titolo originale (W la foca… che Dio la “benedoca”, ribadito anche in una scena e considerato quasi blasfemo) che il film e, per questo, ancora più insensato. Dopo 22 anni di oblio, venne riesumato durante la 61° edizione del Festival di Venezia del 2004 con la benedizione di nomi blasonati dello spettacolo, in primis Quentin Tarantino, sicuramente non troppo in forma in quel momento. Qualche critico ha gridato al capolavoro (ed è meglio che cambi mestiere), mentre qualcun’altro ci ha trovato pure qualcosa di gradevolmente surreale, ma tralasciando l’assurda moda di spacciare come gioielli tutte le opere un tempo sforbiciate dalla censura, “W la foca” è un disastro su tutti i fronti; la peggior cosa per una pellicola, infatti, è quella di avere un produttore con il complesso dello scrittore mancato. Galliano Juso, non nuovo a queste operazioni masochistiche, ha la pretesa di chiamare “soggetto” un’accozzaglia di barzellette volgari e risapute, senza nesso fra loro; un modo di intendere i film già superato ai tempi, per un genere oramai alla canna del gas, spremuto di tutte le idee e che da lì ad un anno sarebbe scomparso dai cinema. I prezzolati Francesco Milizia, Stefano Sudriè ed il regista Nando Cicero (Fernando Cicero), sceneggiano senza troppe domande. Non si salva nessuno. Neppure il compianto Bombolo (Franco Lechner), ottimo caratterista e qui in uno dei suoi rari lavori da protagonista, senza una vera trama affonda nelle sabbie mobili con tutto il carrozzone, non certo aiutato da Lory Del Santo (Loredana Del Santo): un fisico statuario che è una gioia per gli occhi… ma da ammirare rigorosamente ad audio spento, così da non doversi sorbire, per giunta in presa diretta, l’irritante atteggiamento da ragazza viziata ed ingenua che è l’unico tipo di recitazione che la sua incapacità di attrice le permette di fare. La ceca Dagmar Lassander (Dagmar Regine Hader) (l’improbabile moglie di Bombolo), senza neppure spogliarsi risulta più sexy della protagonista, in barba ai quindici anni di differenza, mentre Michela Miti (Michela Macaluso), tra un “Pierino” ed un servizio fotografico su "Playman" o "Blitz", a vent’anni i vestiti li aveva già tolti tutti. Particina di pochi minuti per Moana Pozzi. Musiche di Mariano Detto.
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