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Regia di Christopher Petit vedi scheda film

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La recensione su Radio On

di berkaal
6 stelle

Si tratta di un film molto europeo, ma poco inglese. L'elemento teutonico è preponderante: co-produce Wim Wenders attraverso la sua Road Movies (!) Filmproduktion, l'operatore è Martin Schaefer, collaboratore storico del regista tedesco, Martin Muller (sempre dell'entourage di Wenders) si occupa del suono, Lisa Kreuzer interpreta un personaggio scritto apposta per lei da Petit, ci sono ben tre brani dei Kraftwerk e due brani di Bowie tratti dal periodo berlinese, tra cui Heroes cantata sia in inglese che in germanico, e con questo finisco il periodo perché ho esaurito i sinonimi, ah, no, mi è restato alemanno.
Ma non è finita qui: durante il bellissimo piano sequenza iniziale, girato con una delle primissime steadycam, la camera si sofferma su un biglietto appeso al muro sul quale campeggiano parole dei Kraftwerk:

"We are the children of Fritz Lang and Werner von Braun. We are the link between the 20's and the 80's. All change in society passes through a sympathetic collaboration with tape recorders, synthesisers and telephones. Our reality is an electronic reality"

(Siamo i figli di Fritz Lang e Werner Von Braun. Siamo il collegamento tra gli anni venti e gli anni ottanta. Ogni cambiamento nella società passa attraverso una collacollaborazione simpatetica con registratori a nastro, sintetizzatori e telefoni. La nostra realtà è una realtà elettronica)

Ed ancora: mentre il protagonista sta uscendo in macchina da Londra, su un muro è ben leggibile uno slogan: "Free Astrid Proll". Astrid Proll era una terrorista, membro della banda Baader-Meinhof, fuggì in Inghilterra per evitare la cattura ma fu arrestata dallo Special Branch il 15 settembre 1978. Inoltre i titoli di coda sono bilingui, inglese/tedesco, neanche fossimo in Canada. Nonostante tutti questi germanismi, Petit dichiara che il film è inglese per il 70% e tedesco per il 30%.

Per comprendere il film è significativo ed illuminante elencare le fonti d'ispirazione del regista, soprattutto per quanto riguarda lo script. La prima vaga idea era stata quella di realizzare un B-movie alla Roger Corman. Ma la vera fonte di ispirazione fu Get Carter (in italiano semplicemente Carter) del 1971, con Michael Caine, la storia di un killer che da Londra torna nella natale Newcastle ad indagare sulla morte del fratello. Abbiamo già detto di Wim Wenders e del suo New German Cinema, e qui, per stessa ammissione del regista, anche Fassbinder ed Herzog sono da citare in quanto fonti ispiratrici. Christopher Petit non avrebbe saputo dirigere scazzottate, sparatorie, azione, e quindi fu affascinato da Michelangelo Antonioni e da quello che lui chiama il suo "something happens, nothing happens" (succede qualcosa, non succede nulla). Altri due film citati dal regista sono Two Lane Blacktop (in italiano Strada A Doppia Corsia) sempre del 1971 e Performance (tradotto in italiano con il pessimo Sadismo) del 1970.

Al regista interessavano, nell'ordine: "Mobility, Buildings, Weather", e cioè il viaggio, gli edifici ed il tempo atmosferico, e questo spinse Petit in direzione di uno stile documentaristico, confortato in questo senso dalle parole di Godard: "Any good fiction film has a degree of documentary to it" (Ogni buon film di finzione ha una consistente componente documentaristica). Ma Jean-Luc l'ha detto in francese, ovviamente.

Christopher Petit se ne impippa anche della logica: a chi lo criticò a suo tempo perché lo svincolo di Sheperd's Bush, teatro di una celebre ripresa dall'alto, non si incastra con la strada che il protagonista percorre per andare a Bristol, egli risponde con una frase di Martin Muller: "Continuity is for sissies" (questa dovete tradurvela da soli, negli anni settanta si potevano ancora dire queste cose, adesso  rischierei una denuncia).

Il pregio maggiore della pellicola sta nella fotografia, un bianco e nero sgranato alla Max Waldman, molto affascinante, dal sapore antico, scelto dal regista per due motivi: non gli piacevano i colori dell'Inghilterra (ipse dixit) e perché, ispirandosi a Metropolis di Fritz Lang (aridaje), il black and white è il non plus ultra per l'architettura.

Il suono di Martin Muller è fondamentale nell'economia del film: tutto scricchiola, cigola, sbatte, geme quasi, trasmettendo quella sensazione di disperazione, tristezza e grigiore che pervade ogni inquadratura; quando nulla accade, quando tutto è immobile, il silenzio fa rumore, è un forte fruscio di fondo ben percepibile che ricorda quello delle cassette audio che si trascinavano allora all'interno dei registratori a nastro, e così la tecnologia tanto sbandierata dai Kraftwerk scade inesorabilmente a vintage da mercatino.

La verità, confessata candidamente dal regista e dai produttori, è che la pellicola manca di plot e di characters, per loro precisa scelta, e quindi il film risulta vacuo, inconsistente ed inconcludente, una confezione carina con pochissima sostanza. Gradevole da vedere la prima volta, ma la seconda visione rischia di diventare una tortura.

Spendiamo due parole per Sting: l'allora pressoché sconosciuto cantante dei Police, accreditato come "Just Like Eddie", in riferimento a Eddie Cochran, morto in un incidente stradale a poca distanza da dove si svolge l'azione, e di cui il suo personaggio è un fan accanito, fornisce una prova sicura e disinvolta, e la sua breve esibizione strumental/canora è uno dei momenti migliori del film.

Terminiamo con una quisquilia ed una pinzillacchera.

Road Movie? Il viaggio comincia al ventiduesimo minuto e finisce al cinquantatreesimo, praticamente a metà film, trentun minuti su centodue sono meno di un terzo, ho la sensazione che  includerlo in questa categoria sia una mossa un po' discutibile.

C'è un biglietto appeso sulla mensola vicino al giradischi, nello studio della radio dove Robert svolge il suo lavoro di dj, che riporta una scritta ben visibile: "Don't fart before your arse is ready". "Non scoreggiare prima che il tuo culo sia pronto". Una verità inconfutabile.

Voto: 68/100

Sulla trama

Londra, fine anni '70: Robert lavora come disk-jockey in una radio, un giorno viene a sapere dalla madre che il fratello è stato trovato morto nel suo appartamento a Bristol. Decide quindi di recarsi in quella città per indagare sulle cause del decesso. Il suo è un viaggio attraverso l'Inghilterra della fine degli anni settanta, grigia, desolata, disperata.

Sulla colonna sonora

Che la colonna sonora dipinga perfettamente quel momento storico in Inghilterra è fuori dubbio, e quindi da questo punto di vista la sua funzione è assolutamente indovinata, ma in base alla proprietà transitiva, dato che quel momento storico era grigio, triste e cupo, ne consegue che il livello dei brani non sia certo di prim'ordine.

Su Christopher Petit

Il regista al suo debutto, sebbene inesperto e spaesato, confeziona un film pieno di suggestioni anche se rarefatto ed un po' presuntuoso.

Su David Beames

Pur non essendo la prima scelta, se la cava bene e convince pure il regista che nutriva parecchie perplessità.

Su Andrew Byatt

E' il disertore scozzese che viene lasciato in mezzo alla strada. Schizzato, depresso, è il personaggio che preferisco, interpretato ottimamente.

Su Paul Hollywood

Interpreta il ragazzino, la sua prova è convincente.

Su Adrian Jones

Se la cava abbastanza bene.

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