Regia di Andrzej Wajda vedi scheda film
Bellissimo film di Wajda, tratto da un racconto dello scrittore polacco Jaroslaw Iwaskiewicz, molto diverso dai precedenti che avevo visto finora, ovvero "L'uomo di marmo" (1977) e "Danton" (1982). "Il bosco di betulle" è una specie di annunciata tragedia georgica condita dal rapporto di amore e odio tra due fratelli, l'uno sensibile e amante della vita che gli sta sfuggendo dalle mani, l'altro tetro e incattivito per le ingiustizie che la vita gli ha imposto. Fanno da contorno il bel rapporto tra il giovane morituro e la nipotina Ola, che il padre tiene pressoché segregata, e l'amore impossibile tra Stanislaw e la bella contadina Malina. Più che un film di Wajda, regista generalmente poderoso e irruento, sembra un'opera di un regista nordico (possono venire in mente Bergman o il Dreyer di "Ordet"), ambientata in un'estate tristissima che porta via con sé due anime belle - il protagonista e la giovane proprietaria del pianoforte - lasciando il mondo in mano agli esseri più brutali: Boleslaw, sempre più prigioniero del suo rancore, il rude boscaiolo Michal, incapace di qualsiasi guizzo di fantasia, il fratello erede della giovane pianista, tanto avido da venire a riprendere il pianoforte mentre Stanislaw è sul letto di morte. La bella fotografia di Zygmunt Samosiuk mette in evidenza il pallore del volto del giovane tubercolotico (che a momenti sembra perfino troppo incipriato, tanto da somigliare a Marcel Marceau) e lascia stampati nella memoria alcuni sguardi di complicità tra i fratelli, come nella scena in cui si recano a medicare la mano del fratello di Malina. Ottimi i due interpreti, tra i quali è da privilegiare, secondo me, il cupo Olbrychski.
Il bosco di betulle è il luogo dove giace sepolta la moglie di Boleslaw, rude guardia forestale nella Polonia di fine Ottocento. Un giorno arriva a casa sua il fratello Stanislaw, reduce dalla permanenza in un sanatorio della Svizzera, dove ha tentato invano di guarire dalla tubercolosi. Il giovane Stanislaw fa chiaramente capire al fratello maggiore, ancora in lutto per la morte della moglie avvenuta appena un anno prima, di essere andato a casa sua soltanto per morire.
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