Regia di Aleksandr Sokurov vedi scheda film
La pietra è un oggetto freddo, scuro, duro, inscalfibile, ruvido magari, su cui non può crescere vita. Un’espressione naturale della morte, della sua presenza-assenza. Nella casa-museo di Cechov tutte le pareti, tutti gli oggetti, e anche le persone, sembrano di pietra. Le scelte cromatiche di Sokurov non sono casuali, il bianco e nero appiattisce un’immagine su cui egli stesso, comunque, elabora sperimentazioni e tentativi estetici notevoli, dalle deformazioni ottiche fino al chiaroscuro, con una ieraticità tale da rendere sacra ogni sequenza, proprio come se la si stesse vivendo nel silenzio vivace e fruttuoso di un museo. È sul contrasto vita e morte, tema che solo lentamente risulta predominante in Kamen, che il film di Sokurov si sviluppa, attorcigliandosi su lentissimi e lunghissimi piani-sequenza spesso e volentieri anche estenuanti. Uno di quei film che richiedono pazienza e la ripagano solo in parte, convincendo sempre di più durante la visione e maturando nella memoria.
Il ritorno in vita di un uomo, un fantasma, forse proprio Cechov, è l’occasione per affondare la lente sulla riflessione del passato e del ricordo. Kamen non è però un film nostalgico, è rivolto piuttosto verso il luttuoso avvenire, incapace di offrire troppe chance a un’umanità inesistente, e forse nascosta nella nebbia. Il fantasma recupera istanti vitali rubati al destino facendosi il bagno, mangiando carne, suonando un pianoforte, e constatando con apparente apatia come il giardino non sia più florido come un tempo, ma sia stato completamente sostituito dalla pietra. La guardia, che con il fantasma conduce un piccolo viaggio non a ritroso ma sul volto del presente, crea con quest’altra misteriosa figura un rapporto quasi di confidenza, con un senso di responsabilità che lo rende carico delle intere esperienze dell’umanità presente, tanto che quando i due si ritrovano nello stesso shot sembrano manifesti di due epoche diverse, di due diversi modi di esistere.
Ma non ci sono, né ci sono mai stati, rimproveri e accuse sociologiche facili, in Sokurov. Anzi, Kamen è alfine un film senza tempo, in cui è proprio il Tempo a rendere tutto più oscuro, minaccioso, freddo, e non gli uomini. La figura umana, seppur pregna di emozioni, rimane come dipinta con colori inesistenti sullo sfondo di un mondo lento, che non aspira più alla realtà. Tanto che la grossa domanda che sorge alla mente dello spettatore, constatando la solitudine che grava sull’intera umanità non più viva fuori dalla casa-museo, è se la guardia non stia facendo altro che custodire la Vita di un luogo non più vivo dalla Vita finta di un mondo del tutto Morto, sepolto da una gigantesca lapide di pietra.
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