Regia di Aleksandr Sokurov vedi scheda film
Sokurov citando apertamente uno dei suo maestri letterari (Cechov) compone uno dei suoi film più sofferti, inclassificabili. Il tema del ritorno, del passato è una costante nel suo cinema della memoria, tuttavia in Kamen’ (Pietra) il «fantasma» è raffigurato come un poliforme miscuglio di volti, corpi, esperienze contenute in un’unica persona (e quindi in un unico attore). La morte non ha nulla di ilare né di soddisfacente, ciò nonostante appare come unica via di fuga da un mondo ostile e agonizzante. Perlomeno questo è il pensiero del giovane custode anche se la «rinascita» dello sconosciuto viene mostrata come una sorta di ritorno alla natura, di ricongiungimento infantile con le bassezze, le piccole cose della vita quotidiana. Il piacere di un bagno, il sapore di un cibo, l’aria fredda dell’inverno, un’ultima passeggiata. Lo stile è, se possibile, ancor più rigoroso e formalmente impeccabile. Un bianco e nero angosciante ed espressionista come nella miglior tradizione cinematografica, un massiccio uso della distorsione dell’immagine ormai vera e propria firma del regista russo.
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