Sono cresciuto con Dino Battaglia, Sergio Toppi, Hugo Pratt e gli altri geni della scuola italiana, poi ho apprezzato Bilal, Segrelles, Alberto Breccia e gli innumerevoli altri disegnatori delle scuole argentina, francese, spagnola, belga, americana. Onestamente, non è possibile confrontare il livello grafico di questa produzione con quello presente in questo film, che si inserisce nel filone giapponese già tristemente noto, che ovviamente non vanta alcun disegnatore degno di un certo prestigio. Magari la scuola nipponica si rifacesse e si ispirasse alla tradizione iconografica del sol levante dei secoli scorsi, magari venissero ripresi temi e tecniche che in passato hanno prodotto capolavori inarrivabili. Niente di tutto questo. Sono stato in Giappone per un certo periodo di tempo, e sono stato molto colpito, tra le altre cose, dal fatto che i fumetti giapponesi siano sostanzialmente tutti uguali nella tecnica grafica, che siano horror, romantici, porno, western, commedia, per bambini, o altro. Una globalizzazione, massificazione, omogeneizzazione di carattere culturale che è sintomo di quanto sia disumanizzante, almeno per certi versi, la società del sol levante. Immagino i lai degli estimatori degli anime, ma vorrei far loro notare che quanto c'è di apprezzabile (poco) nella pellicola è scopiazzato da quanto ho citato sopra: il castello e i veicoli volanti sono presi di peso da Moebius, l'ambientazione urbana dalla scuola belga, le scene dei combattimenti aerei ed altre situazioni da Philippe Druillet e in generale dagli Humanoïdes Associés, e la scenografia, i panorami e quanto ispira poesia sa del tanto vituperato Disney. L'orribile caratterizzazione dei personaggi puzza invece di Heidi, Mazinga e paccottiglia varia, con quegli insopportabili occhi enormi.
Ma lasciando anche da parte la questione grafica, fingendo che sia solo una questione di gusti, anche se tale non è, prendiamo in considerazione soggetto e sceneggiatura. Il soggetto, tratto da un romanzo della scrittrice Diana Wynne Jones "adatto sia per bambini sia per giovani adulti", si può riassumere in poche parole: c'è una guerra, e la guerra finisce. In mezzo tutta una serie di tira e molla, vai e vieni, di situazioni ripetute senza senso e logica, per cui a due terzi della pellicola la noia assale implacabile. La sceneggiatura: dialoghi inutili, vaghi, ridondanti, scontati, inconcludenti, banali, passabili (forse) per un pubblico infantile, ma onestamente pesanti da sopportare anche se ci siamo muniti delle migliori intenzioni. E' tristissimo che Winsor McCay, Antonio Rubino, Carlo Bisi, Sergio Tofano e mille altri disegnatori inarrivabili siano purtroppo sconosciuti al grande pubblico mentre queste brutte/brutte/brutte/brutte copie abbiano una tale diffusione e visibilità, ma come si sa, business is business.
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