Regia di Wim Wenders vedi scheda film
Los Angeles, settembre 2002. Il paranoico dispiegamento di forze antiterrorismo, successivo agli attentati di Washington e New York, si contrappone al silenzioso impegno di chi, da sempre, fronteggia l'eterna (sottaciuta) piaga della povertà nelle metropoli statunitensi. La tendenza all'autocommiserazione, la mania di persecuzione e l'esaltazione patriottica creano uno stridente contrasto con la semplicità d'animo di chi, in Israele, convive quotidianamente con le bombe, ossia con la stessa, ma ben più concreta, minaccia dei mortali attacchi sferrati da un nemico invisibile. Il veterano Paul incarna una vecchia America malata, ripiombata nella sindrome dell'eterna guerra, tra i fantasmi del Vietnam improvvisamente ritornati ad ossessionare la sua anima militarista. L'unica parte veramente sana del Paese sembra essere quella di nuova acquisizione, portata da coloro che vi sono approdati dopo aver attraversato il mondo, come la giovane Lana. La sua voce, quella dell'immigrato Yussuf Ahmed e la lettera che la sorella morente gli scrive da una missione africana, sapranno suggerire a Paul il modo giusto di rispondere al dolore, di reagire alla ferita insanabile dell'odio. Lo inviteranno a trasformare l'incubo in una lezione di coraggio, in un prezioso viatico per il resto della vita. Il film non è perfetto, ma l'idea di fondo è validissima e superbamente sviluppata. Wim Wenders tratta l'argomento con un tocco sensibile ed accorto, velato di distaccata ironia, e caratterizzato da un sapiente controllo della tensione narrativa.
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