Regia di Wim Wenders vedi scheda film
Con qualche distrazione esterna un film di Wenders assume connotati strani, snaturatamente lenti e sonnacchiosi. Eppure c'è vita, pulsiva, e nuova linfa in questo cinema che si ricongiunge alla sua matrice di fiction, dopo i documentari musicali realizzati con costanza e pervicacia. Lontano dal metacinema dei primi '90, fastosi, e dalla scarnificazione onirica dei suoi primi film Land of plenty è però vicino all'essenza lirica di quel "manifesto" cinematografico che il regista tedesco ha sempre mostrato senza inutili presentazioni. Nella galleria pacata di un'america desolante, post 11 settembre e vaticinante uragani Katrina, si aggira la viaggiante Michelle Williams. Espressione attonita eppure percorsa da guizzi d'intelligenza, la giovane attrice facciadafiction non si discosta troppo dal personaggio televisivo che l'ha resa celebre. Come la Jen di Dawson's Creek Lana è una ragazza nata da una famiglia facoltosa e sfaldata, combattiva e curiosa, ma qui con un'accezione più complessa e meno legata ai clichès del fintamente ribelle. L'attivismo missionario si stinge a tratti in uno scetticismo transgenerazionale, approfondito nell'incontro-scontro tra la protagonista e lo zio, inizialmente una patetica macchietta di folklore locale già vista in tante pellicole di Wenders. Paul è un uomo ossessionato, paranoico comicamente e tragicamente, e la sua paranoia lo porta ad incontare una storia che smentisce la sua disperata e immotivata fiducia nell'"americanesimo" . Tra silenzi esplicativi e discorsi generalisti, non scompaiono del tutto tracce di retorica, che uno sguardo d'insieme potrebbe, però, volontariamente annacquare
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