Regia di Manoel de Oliveira vedi scheda film
Cinema di parole e di coscienza, quello di Oliveira: cinque anni dopo La lettera, tratto da La principessa di Cléves di M.me de La Fayette del 1678, il nostro affronta la vicenda di re Sebastiano svoltasi cento anni prima, nel 1578, adattando il testo teatrale di José Regio. E proprio di teatro è intriso Il quinto impero, nella sua aulicità declamata, esibita, sostenuta, a volte al limite del sostenibile con quei piani frontali e immobili, che scrutano però i flussi di coscienza e i dubbi del re visionario, sognatore, idealista e creduto pazzo dai consiglieri; e con quei lunghi discorsi dialettici. Il Mereghetti parla di stile anticinematografico, ma a mio modesto parere non ravvisa la natura invece pienamente cinematografica di tale estremismo stilistico: per Gilles Deleuze l'inquadratura è simile alla coscienza, c'è un rapporto in movimento tra soggetto e oggetto; in Oliveira c'è la fissità del campo medio che si concentra nelle voci, nelle coscienze dei personaggi, senza tralasciare l'importanza degli sfondi o viceversa. In una lunga scena dialogata, per esempio, vediamo il re e il suo misterioso interlocutore l'uno accanto all'altro, in piedi e in penombra di fronte a noi, dietro una finestra, ma separati dallo schermo cinematografico da una grata, oltre che dalla finestra stessa: la grata potrebbe essere un filtro, una metafora della analisi e dell'apertura dell'animo di re Sebastiano. Tali piani-sequenza inoltre sono la manifestazione del tempo, materia stessa del cinema. Ancora, Oliveira usa spesso procedimenti mutuati dal mondo della pittura, non solo nelle sontuose messe in scena, ma soprattutto con i décadrages di Pascal Bonitzer, le disinquadrature, ovvero la narrazione spezzata che risulta dalla "distruzione" dell'oggetto rappresentato e dal Fuori Campo, come quando uno dei giullari irriverenti viene picchiato dal re: mentre il buffone è a terra al centro dell'inquadratura, il re e l'altro interlocutore sono ripresi dalla vita in giù, lasciando Fuori Campo tutta la parte superiore del corpo; sentiamo solo le loro voci e la loro figura non verrà completata in una inquadratura successiva, lasciando in atto tutta la tensione e la concentrazione accumulate sulla figura del buffone e soprattutto e allo stesso tempo sul Fuori Campo medesimo. Un film molto difficile sul mistero delle utopie e sul mito dell'Atteso, ieri come oggi. 7 1/2
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