Regia di Claude Chabrol vedi scheda film
Chabrol è come un rifugio. Qualunque suo film, anche il meno riuscito, è una sicurezza. Ti prende per mano e ti porta in giro per la provincia francese, tra storie torbide e tenere, senza particolari scosse, senza mai deludere. Una filmografia abbondantissima, qualche guizzo sorprendente (l’ultimo è Grazie per la cioccolata) per poi tornare sistematico all’intelligenza della riflessione, della calma, alla puntigliosità della descrizione, all’ironia della definizione dei caratteri, anche quelli più tragici e neri. Chabrol ha inventato un filone, il “polar come mezzo di trasporto”: storie di uomini e donne sullo sfondo di un giallo; il crimine come strumento per svelare psicologie e anime, anche quelle normali, per bene, “apparenti”. La damigella d’onore è Laura Smet, figlia di cotanto padre (Johnny Halliday), bellissima e fatale. Di lei si innamora a un matrimonio il giovane Philippe (Benoît Magimel) e da lei viene giorno per giorno consumato. Come prova d’amore, la ragazza chiede che entrambi uccidano uno sconosciuto. C’è chi prende la cosa come uno scherzo, chi sul serio. Con stile quasi dimesso, Chabrol evita volutamente il melodramma a tinte fosche. I suoi due amanti, pur nella disperazione, si mimetizzano con il placido ambiente. E il tocco gotico del racconto di Ruth Rendell che sta alla base del film diventa “quotidiano”. Meglio: chabroliano.
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