Regia di Michael Radford vedi scheda film
Scorrendo la filmografia di Michael Radford si ha la sensazione di trovarsi davanti a un regista onesto ma senza spiccata personalità, capace di mettersi al servizio di un attore, ma comunque segnato da una lunga pratica televisiva: dall’esordio nell’83 (Another Time, Another Place) in pieno naturalismo British Renaissance allo svagato Il postino, con (e di) Massimo Troisi, dal pomposo Misfatto bianco al velleitario B Monkey, con Asia Argento. Per questo Mercante di Venezia aveva a disposizione due mostri sacri, Al Pacino per la parte di Shylock e Jeremy Irons per quella di Antonio, la vera Venezia e la solita “sceneggiatura” di ferro di William Shakespeare. Probabilmente non si è chiesto come mai, di tutte le opere di Shakespeare (e in particolare delle grandi tragedie), Mercante fosse quella più raramente arrivata sullo schermo, senza lasciarvi traccia (a parte un titanico Michel Simon negli anni ’50 e qualche “graffito” di un progetto mai realizzato di Orson Welles). È che, va bene l’eterna attualità del Bardo, ma Mercante è un dramma cupo e intimistico, poco “melodrammatico” e molto razionale, e per di più contorto nel plot quanto sono le commedie. Machiavellico quanto il patto proposto da Shylock ad Antonio, non ha il rumore e il furore, la carne e la passione di altri drammi. Allora, o viene reinventato dal cinema (come ha fatto Julie Taymor con Titus) o resta un’inerte trascrizione, un verboso esercizio calligrafico che non suscita nessuna eco.
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