Regia di Jonathan Demme vedi scheda film
E' un film crudo e violento, e spesso sgradevole. Il carcere femminile è una specie di lager, ma non sarebbe di per sé così se la direttrice, il medico e almeno una secondina non fossero persone sadiche che provano piacere nel tormentare le detenute. Il medico, in particolare, fa venire i brividi. Si crea quindi un circolo vizioso di insofferenza, ribellioni, punizioni, vendette, persino totura elettrica e infine lobotomia.
Dall'altra parte, tra le detenute, c'è parecchia violenza e sopraffazione. Tra di loro, comunque, almeno non c'è il sadismo. Provengono da contesti familiari molto disadattati, e il loro approdo in galera, dopo furti od omicidi, è stato quasi uno sbocco obbligato. Alcune di loro sono state vittime delle circostanze. In ogni caso, quella prigione è una propaggine dell'inferno, una polveriera che è destinata ad esplodere. E infatti. E poi un carcere così è lontanissimo dal rieducare la persona, perché anzi la rende più cattiva e violenta.
Jonathan Demme gira un film teso e compatto ma decisamente sgradevole, a tratti quasi insostenibile (come quando il dottore fa girare il trapano col quale vuole perforare il cranio della ragazza, lo guarda compiaciuto e ghigna). Alla fine c'è praticamente un bagno di sangue, commentato da una musichetta country che suona quasi beffarda. A ben guardare, questo film non è molto diverso dal successivo "Il silenzio degli innocenti" (1991) dove un singolo personaggio sadico si diverte a torturare persone innocenti, che tiene prigioniere. Lo schema non è molto diverso da quello di questo film, dove le carceriere sono molto peggiori delle detenute. Comunque non ho dubbi che l'immaginario e l'interiorità di Demme siano profondamente segnati dalla violenza.
Il finale è come una goccia d'acqua nel deserto del Sahara. Da vedere per curiosità (perché è di Demme), o per chi ha voglia di passare una serata con lo stomaco contratto.
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