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The Manchurian Candidate

Regia di Jonathan Demme vedi scheda film

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La recensione su The Manchurian Candidate

di Baliverna
8 stelle

Non più la Korea ma il Golfo Persico, però la sostanza non cambia. Neppure dal punto di vista della qualità cinematografica.

Forse è meno suggestivo dell'originale del '62, ma è comunque un film riuscito. Del resto Jonathan Demme è una di quelle firme che sono praticamente una garanzia.
Rifare pari pari il film id Frankenheimer sarebbe stato anacronistico, perché la situazione politica è cambiata da allora (anche se i metodi e le dinamiche sotterranee della politica statunitense sono gli stessi). Pertanto, in questo caso particolare, è stata una buona idea aggiornare il primo film, ed adattarlo all'attualità presente (o recente). Ciò che non cambia, oltre che a molti elementi della trama, è il discorso sulle forze nascoste che governano la politica americana, dove spesso un candidato non è che un fantoccio o una marionetta manovrata da coloro che comandano veramente, anche se di nascosto. Questo candidato, oltre che ad avere sul collo il fiato di queste misteriose congreghe e potentati economici, è assillato anche dalla madre, la quale lo usa a sua volta per nutrire la sua smisurata ambizione. Oltre a ciò, la donna prova per il figlio un attaccamento incestuoso, di cui lui forse non è neppure cosciente. Nel suo insieme, questo rapporto a base di dominio, sudditanza e incesto hanno qualcosa di repellente.
Non posso omettere di ricordare il debito evidente che il film ha con "Allucinazione perversa" (1990) di Adrian Lyne, secondo me un grande film, che si sta riguadagnando la fama che, ingiustamente, non si guadagnò nei cinema dell'epoca. I metodi usati dall'esercito americano per far combattere i soldati, droghe comprese, e la retorica di facciata che nasconde un sottofondo marcio e inconfessabile sembrano presi di peso dal film di Lyne. Ma in generale questi non sono gli unici film a parlarne...
Mi sono proprio piaciute le scene degli incubi, perché... sembrano veramente incubi. Qualche sbavatura l'ho notata in certi snodi narrativi (le indagini del protagonista a New York), ma sono poca cosa.
Quanto agli attori, Meryl Streep dà la solita buona prova, come quella di "suo figlio" Liev Schreiber. Un po' meno riuscita, invece, è l'interpretazione di Denzel Washington, attore che ci ha ben abituati in diversi film. Qui ha un'aria un po' troppo apatica e assente; o meglio, ce l'ha nel modo sbagliato, perché il personaggio così infatti sarebbe. Tuttavia forse l'attore non trova sempre la giusta misura e la giusta nota.
In ogni caso si tratta di un film da vedere, che non infoltisce le lunghe schiere dei rifacimenti inutili e sbagliati di pellicola famose. Forse il motivo di questa consuetudine è che di solito i produttori li mettono in mano mestieranti senza arte ne parte. Cosa che certo non si può dire di Jonathan Demme.

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