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Collateral

Regia di Michael Mann vedi scheda film

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La recensione su Collateral

di FilmTv Rivista
8 stelle

La barba corta e ben curata è spruzzata di grigio; grigi sono i capelli tagliati a spazzola e l’abito di sartoria che calza impeccabile anche dopo una sparatoria; persino gli occhi verdi di Tom Cruise sono ingrigiti da un bagliore metallico. “L’uomo in grigio” che atterra a Lax (l’aeroporto di Los Angeles) verso il tramonto e approda verso il termine della notte, alle quattro del mattino, al capolinea della metropolitana a Long Beach si chiama Vincent ed è lì per sbrigare al meglio il suo lavoro: uccidere i cinque testimoni chiave di un’inchiesta sul traffico internazionale di narcotici. L’altro uomo, che attraversa la città sul suo taxi e per caso incrocia la lunga nottata di Vincent, si chiama Max, è nero e sogna quando può di rifugiarsi in un’isola da cartolina. Max è un filosofo onesto, ama la buona musica, le chiacchiere coi clienti e sotto sotto sa che non cambierà mai vita. Se incontra una ragazza che gli piace (come il procuratore Annie Farrell), mette il suo numero di telefono nello stesso scaffale dei sogni dell’isola incantata. Anche Vincent è un filosofo, ma disonesto: bara spudoratamente con l’idealismo dell’altro, giocando sulle sue frustrazioni («Un giorno ti sveglierai e scoprirai che sei diventato vecchio», gli dice) e raccontandogli la panzana del “giustiziere”, del killer che elimina i “rifiuti”; roba d’altri tempi, che nel West smagato, astratto e metropolitano che piace a Michael Mann non funziona più. Chiusi nel taxi, imprigionati nella corsa lungo le rette che attraversano la città, Vincent e Max mettono in scena un conflitto classico dell’immaginario americano: quello tra il cittadino onesto e normale messo alla prova da circostanze straordinarie e il fuorilegge ad alto potenziale seduttivo che vive ogni momento come se fosse l’ultimo. C’è aria di Heat nel nuovo grande noir di Mann, ma non ci sono né De Niro né Pacino (e tanto meno il James Caan di Strade violente), antieroi perdenti e coincidenti separati (di qua e di là dalla legge) da un filo esilissimo. Collateral è sbalzato nella modernità, in un mondo da terzo millennio in cui non si può più credersi banditi gentiluomini, ma solo fare il proprio lavoro, in fretta, con efficienza e con freddezza. Entrambi senza passato (una madre in ospedale e una vita modesta appena intravista per Max, un’altra bugia provocatoria per Vincent: «Mio padre, l’ho ammazzato che avevo dodici anni»), e probabilmente senza futuro fino al momento del loro incontro, che fa entrare in rotta di collisione le rispettive forze d’inerzia. Max prende in mano il suo futuro (e decide quello dell’altro) nel momento in cui manda affanculo Vincent (letteralmente: «You know, Vincent? Fuck yourself!») e parte a rotta di collo. Infrange la legge, disperatamente, per acchiappare uno scampolo di isola e riaffermare uno straccio di giustizia. L’altro è un ballerino solista, maschera implacabile e falcata irresistibile, come certi personaggi del Mitchum e del De Niro di un tempo, ai limiti glaciali della mostruosità. O meglio, come ci suggerisce lo stesso Mann, un jazzista intento a un’improvvisazione, al quale comincia a rispondere, imprevedibilmente, il nero pacifico. CollateralCollateral: avvolge i personaggi, modella le loro psicologie, intima loro i tempi, guida l’occhio del suo cantore accorato, giù fino al fondo del suo e del nostro cuore notturno.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 43 del 2004

Autore: Emanuela Martini

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