Regia di Alejandro Amenábar vedi scheda film
Profonda pellicola di Amenàbar che, libero da fuorvianti ipocrisie, ci trasfonde un'esperienza sensoriale unica grazie ad uno stratosferico quanto poliedrico Javier Bardem. Attraverso la poesia delle immagini, a volte reali a volte oniriche, sempre suggellate dalla dolcezza dei suoni, la sceneggiatura ci cattura e ci fagocita per teletrasportarci nell'odissea esistenziale di un uomo che non chiede nulla di (il)legittimo, se non il diritto di poter decidere in totale autonomia il suo destino.
La dinamica deterministica degli eventi ci riporta alla logica del caos e della casualità che sempre accompagnano il corso delle vicende programmate e, nel caso in questione, a un epilogo conciliante per alcuni e conturbante per altri. Il film è accusato dai detrattori di evidenziare un'eccessiva carica eversiva nei confronti dei canoni ortodossi. Personalmente non avrei remore a dissociarmi totalmente da tali sbrigativi giudizi, annoverando questa di Amenàbar tra le opere capaci di indurre, oltre a quanto sopra accennato, una profonda alchimia con gli spettatori i quali si ritrovano gradualmente immersi in un phatos affascinante e, nel contempo, lacerante.
In questo modo si metabolizza il dolore provocato da quel tormentato e costante malessere dovuto all'essenza del vivere/non vivere. Altresì si rende possibile una visione del mondo esterno con imparzialità e non con rinuncia, evidenziando quanto la purezza dell'essere stia nel divenire e non nel presente materiale.
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