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The Terminal

Regia di Steven Spielberg vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su The Terminal

di scandoniano
4 stelle

Arrivato al JFK di New York, Victor Navorski si trova in una situazione imbarazzante: nel suo paese di provenienza è appena scoppiato un colpo di stato e dunque, provenendo da un paese “legalmente sconosciuto”, gli americani non gli concedono di superare lo spazio aeroportuale, né di ritornare a casa. Cominciano così le sue disavventure all’interno del Gate 67, dove Victor rimane confinato ed in cui comincia (troppo seraficamente?!) a relazionarsi con coloro che quotidianamente vi lavorano.
Il film è un clamoroso azzardo di Spielberg che prova la sfida di non annoiare lo spettatore nonostante la pochezza della sua trama e la, forzosa, ambientazione monotematica. La scommessa non è riuscita perché nonostante il film giunga al termine, se si eccettua la piattezza di qualche passaggio e la sua esagerata prolissità, in maniera abbastanza scorrevole, non può che dirsi un film “malriuscito”. La scommessa persa non sta nell’aver annoiato o nell’aver fatto rimpiangere addirittura il prezzo del biglietto, bensì è legata alle premesse stesse con cui il film è nato e si è successivamente sviluppato: Spielberg decide di portare sul grande schermo una storia tutto sommato banale, una storia per così dire “non-cinematografica”: chi vede il film, ad un certo punto, si chiede con decisione “perché?”! La risposta non arriva.
La domanda che maggiormente ci si pone, però, è un’altra: che necessità c’era di girare un film minato sin dalle sue basi come “The terminal”: un soggetto piatto, senza una scorrevolezza insita, privo di quelle dinamiche proprie al medium cinematografico?
I tentativi cinematografici coraggiosi sono quelli di portare sul grande schermo temi scottanti o difficili, ma comunque temi “necessari”. Utili al pubblico. Dalla visione di “The Terminal” chi ci guadagna? Se si esclude il portafoglio di Spielberg e del suo entourage, anche questo è un interrogativo senza risposta. Ecco perché il film è una scommessa della quale si faceva volentieri a meno. Perché portare sullo schermo l’olocausto, la guerra, l’omosessualità significa affrontare scommesse difficili, ma necessarie. Portare il nulla al cinema, rappresentando qualcosa di vacuo ed inutile, per il solo scopo di dimostrare la propria bravura per poi pavoneggiarsene ha un senso che, allo stato attuale, sembra sfuggire ai più.

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