Regia di Chris Kentis vedi scheda film
Rivelazione al Sundance, Open Water è interessante per varie ragioni; la prima è che è realizzato a conduzione familiare con un budget irrisorio, girato in digitale e praticamente senza cast. La seconda è che sa promuovere i suoi punti forti a partire dal fatto che si tratta di una “storia vera”; e la terza è che questi punti vanno a colpire il lato oscuro che è in ognuno di noi. Innanzi tutto la paura dell’inconoscibile, del buio, del pericolo che ci circonda ma non si vede; Open Water lavora sui meccanismi dell’inconscio in modo pressoché perfetto, lanciando lo spettatore in un vortice di angoscia che diventa quasi insostenibile. Gli squali - quasi invisibili - che si agitano nel mare oscuro delle Bahamas e che minacciano la coppia di subacquei dimenticata in mare aperto durante un’escursione, incarnano la metafora di quanto accade oggi nel mondo, con il terrorismo che si muove intorno a noi ma senza che ci sia concesso sapere quando e dove colpirà. Ecco, la forza intrinseca del film sta nel liberare questo terrore cieco. Ma quella estetica? Quella non c’è, il film non esiste da un punto di vista narrativo e tutto il prologo, sarà anche per l’uso del digitale, sembra un inutile orpello così come i dialoghi tra i naufraghi che talvolta sono persino comici e che ci allontanano dal vero scopo del film: misurare la nostra paura.
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