Regia di Billy Wilder vedi scheda film
Trent’anni non trascorrono invano e pesano su un film che parla proprio dell’incomunicabilità che si instaura tra una donna che non sa invecchiare,perché non può,e l’umano trascorrere del tempo.
Quello che resta,dopo aver visto Fedora(una donna che concepisce sé stessa come un fantasma eterno cui la grande menzogna che sta dietro potrebbe consentire di vivere),è una tristezza enorme ed in certo qual modo astiosa.
Quasi trent’anni,infatti,sono trascorsi da quel fine trattato sulle illusioni frustrate che era Viale del tramonto e questa sintesi di disumane ambizioni in cui nessuno accetta di vedersi per lo spaventoso risultato di una serie incrociata di fallimenti che è in realtà.
Anche se speculari i due film,com’è chiaro,non sono paragonabili,nonostante siano simili per il tono funereo,per il destino di morte che si portano dietro.
Se Viale del tramonto valeva come profonda analisi della decadenza di una diva quando la grandezza del cinema,non riconosciuta dalla stessa,era nel suo farsi,cioè quando il periodo d’oro del cinema si svolgeva sotto i suoi occhi senza che lei riuscisse ad ammetterlo,poiché non riusciva a rientrarvi,Fedora è la totale fine delle illusioni da parte di chi viene ancora ricercata ma che impone la sua devastata realtà alle persone che le sono intorno,e che sceglie la creatura più indifesa e più devota(e come potrebbe essere altrimenti?) come estensione della proprio crudele perseveranza a reinventare una femminilità posticcia come può essere solo quella delle dive e ne spezza il desiderio di vivere indipendentemente da lei.
Norma Desmond è gia dimenticata,Fedora(solo un nome,uno stereotipo) riesce ad essere intoccabile e a non rendere nota la propria miseria.
Nello scegliere questa storia,Wilder parla anche di sé e della nuova concezione di regia che,ai tempi della realizzazione di questo film,non doveva trovarlo d’accordo,e vi si distanzia proprio con queste anime in delirio che non ammettono la loro pazzia,ferocemente attaccate al culto di sé,sopravvissute ad una babilonia fastosa ma schiave della gigantografia che il cinema,la moltiplicazione infinita delle immagini promette.
Questa scelta segna molto anche l’equilibrio delle interpretazioni in cui si cava più disinvoltamente d’impaccio gli uomini:se Gloria Swanson era un capolavoro di autoironia,per quanto vigile potesse essere,Marthe Keller e Hildegarde Kneff si perdono un po’ in una reticenza travagliata e isterica,in un languore a volte tedioso:la recitazione non è quasi mai stata una qualità delle dive(anche perché non era loro richiesta) e il ricalco di quei manierismi ne produce altri di segno opposto,in una bellicosità famelica(la Kneff) e in una cautela sospirata(la Keller) che si scontrano ma non si incontrano.
A differenza di Viale del tramonto,che nel suo bianco e nero aveva la sua vivacità,pur nell’abitazione cimiteriale di Norma,Fedora ha colori che si sciolgono in prossimità di un lutto,atroce perché procurato,che stridono con la decadenza quasi viscontiana della storia,e viena da dire:che pagliacci,questi divi intoccabili.
Tutto rende Fedora un film molto interessante,di seria perplessità sul destino del cinema,delle immagini in senso stretto,malinconico dall’inizio alla fine e in alcuni punti persino commosso(ma senza ammiccamenti),sicuramente da vedere,più riuscito nella seconda parte quando si svela il mistero e i vampiri che impongono una condotta notturna anche di giorno mostrano le loro facce,o almeno quelle più somiglianti a quelle di una volta che hanno trascinato fino ad oggi.
Ma nel cinema che in quegli anni si affermava,nella smitizzazione che in quegli anni ha ispirato opere di profonda originalità( che forse a Wilder non dovevano sembrare tali),Fedora ha un po’ il sapore di un’opera tardiva e rancorosa,e quanti di noi userebbero la parola capolavoro se non sapessero che dietro la cinepresa c’era quell’ometto mitteleuropeo?
Dire che è inquietante è poco e ascoltarla in originale lascia la sensazione di un orrido personaggio che tenta fino all'ultimo di schiacciare la realtà che non vuole amica ma subordinata,una vecchiaccia prossima all'agonia contenta solo di averne imposta una più grande.
Bizzarro personaggio il suo,una sorta di scienziato pazzo a cui serve la pazzia altrui.
Non era facile nascondersi in Fedora,quasi sempre camuffata,piegata su sè stessa,e vince la scommessa solo in parte,un po' perchè la leggendaria bellezza di Fedora non si materializza così chiaramente e perchè sceglie un'inflessione vocale che spesso la spersonalizza. Ma nella sua enorme sofferenza prende quota:e lascia il segno.
L'attraente ragazzo di Viale del tramonto con solo un po' di energia in meno,la faccia solcata dalle rughe e la voce di chi dialoga spesso con la bottiglia. Un giorno si dovrà scrivere quanto fosse generoso e dotato quest'attore,e quanta pazienza avesse quel suo magnifico volto.
Regia di abilità evidente e un po' sofferta,non un attimo di troppo né la concessione ad un preziosismo in questa storia di patetica tristezza. Per lui era la norma e ancora oggi fa scuola,all'opposto della furia visiva,della violenza che si affermava in quegli irrepitibili anni '70.
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