Regia di Chester Erskine vedi scheda film
Due marinai hanno cinque giorni di licenza per andare a prendere possesso dell’eredità di una vecchia zia, appena ricevuta da uno dei due. I soldi sono pochi, ma nel lascito c’è un cavallo: quale occasione migliore per farlo correre e scommettere su di lui? L’animale però si rivela un fiasco, ma risulta avere un gemello fenomenale…
La trama è scombiccherata, il ritmo alto, le gag si susseguono senza pausa per un’ora e mezza: eppure Una ragazza in ogni porto segna il punto forse più basso in assoluto della carriera di Groucho Marx. Nonostante le buone intenzioni, nonostante una spalla sulla carta valida come William Bendix, nonostante la doverosa presenza della bella figura femminile di turno (Marie Wilson), nonostante la produzione a cura di Irvin Cummings, che aveva diretto nei mesi precedenti Groucho nel discreto Questi dannati quattrini, la pellicola risulta tutto sommato un’accozzaglia di scenette poco convincenti, piuttosto stereotipate, con personaggi tagliati con l’accetta e dialoghi eccessivi, alla continua ricerca della battuta di spirito tagliente e memorabile che però effettivamente manca. Vorrebbe insomma essere un film dei fratelli Marx, ma ne è solamente una pallidissima imitazione. Non sorprende dunque la decisione di Groucho di chiudere qui la sua esperienza con il cinema, sottoposta poi a ripensamento oltre tre lustri più tardi, ma solo per Skidoo (1968) di Otto Preminger. La cosa in assoluto più incomprensibile è poi il titolo: A girl in every port promette ciò che non mantiene in concreto (di donne non v’è abbondanza, anzi: i due protagonisti se ne litigano una sola, che pure li snobba) e, peraltro, ricalca un film di Howard Hawks del 1928 (in Italia tradotto genialmente come Capitan Barbablù) che naturalmente parla di tutt’altro. Il regista e sceneggiatore è Chester Erskine, non un grande nome, ma effettivamente sufficiente per portare a compimento il lavoro qui. 3,5/10.
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