Regia di Luciano Salce vedi scheda film
Nella primavera 1944 un fanatico milite fascista, che aspira alla carica di federale, scorta un illustre prigioniero politico da un paesino abruzzese a Roma usando i più disparati mezzi di locomozione: tutto intorno dilaga lo sbando, ma lui è cocciutamente deciso a compiere il proprio dovere. Un film che fa ridere e riflettere, secondo la migliore tradizione della commedia italiana; e far ridere del fascismo, nel 1961, non era per nulla facile (poco dopo ci riusciranno anche Risi con La marcia su Roma e Zampa con Gli anni ruggenti). Primo Arcovazzi è uno di quei gregari che formano l’ossatura indispensabile a ogni apparato di potere: crede, obbedisce e combatte senza mai discutere, accontentandosi di una pacca sulla spalla, e alla fine può venire disinnescato non con una pistola ma con una macchina fotografica. Del resto il passato prossimo della dittatura non è molto diverso dal presente della democrazia: il poeta di regime Arcangelo Bardacci, che aveva celebrato il duce nell’ode Chi?, è ora pronto a saltare sul carro del vincitore; e possiamo intuire che anche il nostro eroe, allontanandosi con il viatico di una poesia di Leopardi, troverà qualche modo per barcamenarsi. Perfette le caratterizzazioni dei due protagonisti, soprattutto quella di un Tognazzi ottusamente zelante e inviso ai suoi stessi colleghi (“Ci ha messo vent’anni a imparare quello che sa, ce ne vorrebbero altri venti per fargli cambiare idea”).
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