Regia di Gavin O'Connor vedi scheda film
Miracle è storia di come un uomo duro, ma giusto mise insieme una compagine di giovincelli dilettanti mandandoli a sfidare, sotto i riflettori più prestigiosi (quelli delle Olimpiadi), i migliori (ovvero i cosacchi di Madre Russia); ed entrando di diritto nella storia (non solo quella dell’hockey su ghiaccio).
Una storia che trascende, giocoforza, i confini dell’agonismo sportivo per intrecciarsi con quella delle allora fibrillazioni politiche (che non potevano proprio rimanere completamente sullo sfondo; basti pensare che il prologo del film è dato da un excursus di tutti i principali eventi politici di quell’ultimo decennio, mentre ad altri viene dato spazio, benché di striscio, in seguito). Alla fine, però, è lo sport ad impattare sulla politica (ma di lì a breve - con il boicottaggio delle Olimpiadi estive di Mosca - sarebbe avvenuto l’incontrario). Così da un caldo (ma che dico; “bollente”) palazzetto del ghiaccio di New York (di quasi 35 anni fa) ci vengono impartite tante buone lezioni di affiatato cameratismo; di dedizione assoluta; di sacrificio estremo (e, finanche, di autentico patriottismo).
Lezioni che, anche grazie ad un esasperato, spasmodico perfezionismo (quello del coach Herb Brooks/K.Russel), alla fine portano i loro frutti.
Certo forse, però, sarebbe stato interessante estendere la visuale anche all’elenco degli esclusi; di coloro che si sono spezzati la schiena per niente; di quelli che se la sono spezzata e basta…
Ma questo non è il compito di Miracle, il quale insegna che il sacrificio paga. Allora godiamoci il momento di gloria (altrui); dopo 20 anni di umiliazioni e 6 mesi di inferno (al freddo) ci può anche stare. Ed è un’esaltazione collettiva che riserva pure qualche (raro) momento di coinvolgimento.
Per la verità viene da pensare, infine, anche a come siano state sacrificate le (a dire il vero preventivate) ripercussioni, in ambito familiare, della professionalità maniacale del protagonista. Dei figli (che pure, alla loro età, avrebbero potuto legittimamente rivendicare più attenzioni) manco l’ombra, mentre il disappunto della moglie trascurata (P.Clarkson) si converte in adesione incondizionata alla causa comune in quattro e quattr’otto, senza strappi o compromessi vari.
Insomma, Herb Brooks vince e basta, su ogni fronte (questo sì che è un miracolo).
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