Regia di Sébastien Lifshitz vedi scheda film
Jamel, Stéphanie e Mikhail, tre anime nella tormenta. Il primo si prostituisce nei cessi pubblici, la seconda è un transessuale, il terzo un boxeur russo che non parla francese, ma si capisce che è segnato dalla tragedia. Si incontrano, si amano, non chiedono niente in cambio l’uno agli altri. Poi si trasferiscono tutti nel nord della Francia, nella vecchia casa di Stéphanie dove sua madre, ammalata da tempo, sta per morire. Splendido film d’amore diretto dal regista del già bellissimo Quasi niente. Un’opera pervasa da una sensazione di disperazione, simbolicamente espressa dalla plumbea e meravigliosa fotografia di Agnès Godard. Ma gli elementi più scontati del mélo (le conclamazioni dei drammi) non deflagrano mai, come se una sorta di quiete interiore arginasse il male e la deriva definitiva. Lifshitz punta tutto sull’intimità dei tre personaggi, che diventa centrale nella seconda parte del film. Del resto, la campagna della Francia del nord rappresenta una sorta di frattura dal mondo caotico della città. Non, però, un’arcadia rurale, ma una terra desolata dove il sentore della morte è ancora più palpabile. È qui che la relazione tra i tre protagonisti ha una mutazione, diventa a suo modo compiuta, resiste con la forza della bellezza interiore di chi si concede agli altri al degrado che li/ci assedia. Wild Side (il titolo è un omaggio ai drop-out di Lou Reed) è melanconico senza essere forzatamente “letterario”. Anche per questo, per una volta, non è spropositato parlare di tocco truffautiano. Da non perdere.
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