Regia di John Badham vedi scheda film
Tony Manero è un superficiale, ingenuo e passionale ragazzo italo-americano nella New York di fine anni ’70. Tra scorribande, problemi familiari e donne che cadono ai suoi piedi, Tony pensa solo alla sua passione per il ballo, in cui è un vero fenomeno. La vita, duramente, gli farà capire che è ora di diventare uomo.
A guardarlo oggi non si direbbe affatto un cult. Così pieno di stereotipi, lentezze di sceneggiatura, violenze ostentate, razzismo a buon mercato. Eppure John Badham, grazie alla sceneggiatura di Norman Wexler, riesce a creare un film sui generis, grazie anche ad una figura, quella di John Travolta, che rimarrà mitica nella storia del cinema.
I costumi, l’acconciatura, le scenografie, le luci. Ma soprattutto la credibilità di Travolta, che nel suo primo ruolo da protagonista indirizza il suo futuro verso l’archetipo dell’attore-ballerino, senza tuttavia fare un musical vero e proprio (in questo senso è un Gene Kelly calato nella vita reale, un Fred Astaire di periferia). Ma ciò che fa la differenza ne “La febbre del sabato sera” sono soprattutto le musiche, da brivido, con la colonna sonora firmata dai Bee Gees, che ha un’importanza tale da essere segnalata come primo elemento nei titoli sia di testa che di coda.
Se oggi “La febbre del sabato sera” è un film memorabile, lo è per la stessa ragione per cui includiamo “Mad Max” o “Rocky” nel novero dei film cult: per il protagonista, ben caratterizzato e soprattutto identificativo di uno stereotipo nato proprio con quel personaggio. Tony Manero è tutt’uno con il ballo, per cui ha una predilezione speciale. Lo spettatore sviluppa empatia con il suo personaggio, facendosi trasportare dall’alone di mitologia che lo accompagna sul dancefloor.
Qui la pista da ballo non è un semplice luogo di aggregazione e divertimento. È una sorta di porto franco in una New York squallida e pericolosa che pare uscita da una pellicola di De Palma. Su questa pista Manero è ammantato di luce propria, è una figura eterea che entra subito in simbiosi con lo spettatore, che ne riconosce il mito quasi immediatamente, quando vede la pista svuotarsi e decine di sfegatati ballerini lasciargli il posto per seguirne al meglio le evoluzioni danzerecce.
Un film dalla superficie piuttosto cruda e dalla estrema profondità delle tematiche trattate. Indubbiamente una pellicola importante nella storia del cinema per certe dinamiche, anche commerciali (rilancio dei film musicali, ribalta per Travolta, film-simbolo della discomusic) e perché capace, togliendo i lustrini e le paillette al film d’intrattenimento, è capace di mostrare come pochi tutta la porcheria nascosta sotto il tappeto di una periferia americana torbida e brutale.
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