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La febbre del sabato sera

Regia di John Badham vedi scheda film

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La recensione su La febbre del sabato sera

di sasso67
8 stelle

All'epoca, il film di Badham fu liquidato abbastanza sbrigativamente e classificato nello scaffale dei documenti relativi al costume di un'epoca, anziché in quello dei veri e propri "oggetti" cinematografici. Credo che per diversi aspetti sia stato giusto rivalutare La febbre del sabato sera, cosa che per fortuna in questi ultimi anni è avvenuta.

Uno di questi aspetti è che Badham ha dimostrato con le sue opere successive di non essere l'ultimissimo arrivato, ma un regista forse non eccelso però affidabile.

Le stesse cose si possono dire, con ancora maggiore convinzione, riguardo al protagonista John Travolta (già notato in Carrie di De Palma), sebbene l'attore italoamericano abbia seriamente corso il rischio di rivelarsi una meteora ed abbia dovuto attendere una quindicina d'anni (per la precisione fino al 1994 di Pulp Fiction), per ottenere un nuovo successo e la consacrazione a divo e ad interprete di ottimo livello.

Poi c'è il valore intrinseco del film, con quello spaccato della famiglia italoamericana, che i vecchi pretendono di tenere ancorata ai valori del loro passato (la religione cattolica, l'assetto patriarcale, il rito del pasto tutti assieme, ecc.), anche se i tempi stanno cambiando e i giovani - come sempre - aspirano ad uscire dai ghetti, dove si sentono moralmente obbligati a scontrarsi con i rappresentanti di altre minoranze etniche.

E c'è la vita, con le sue piccole e grandi umiliazioni (tra le piccole, gli scappellotti del padre, per una delle scene più divertenti del film: «Smettila! Mi spettini tutto!»), il lavoro in ferramenta a pochi dollari, la sensazione di essere «la merda della famiglia» e l'attesa di qualcosa che non si sa cosa sia e che comunque non si è sicuri se e quando debba arrivare.

C'è la musica, che all'epoca fece storcere il naso ai rockettari, ma che tutto sommato non era così male, anche alla luce di quanto si è suonato in discoteca negli ultimi trent'anni e c'è, appunto, quel nuovo tempio che è  la discoteca, luogo quasi magico, dove per qualche ora, una volta alla settimana, questo ragazzo italoamericano bello e un po' ridicolo può essere guardato come un semidio.

C'è perfino, alla conclusione di questo piccolo romanzo di formazione, la raggiunta consapevolezza, maturata attraverso le musate battute - l'incontro/scontro con una partner di ballo assai snob, la sofferta perdita della vocazione da parte del fratello sacerdote, la presa di coscienza dell'ingiustizia attraverso la vittoria nella gara di ballo scippata alla coppia portoricana, la squallida iniziazione sessuale di un'amica da sempre innamorata del protagonista, la morte di un giovane amico - che la vita è fuori da quella discoteca, che non si può affrontarla con il completino bianco e che, contrariamente a quanto Tony sosteneva all'inizio, il ballo è soltanto un ballo.

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