Regia di John Badham vedi scheda film
In America, quando a metà degli anni '70 si impose il fenomeno di costume della disco music, il modo di concepire il divertimento nei week-end newyorkesi (e non solo) si ripercosse considerevolmente sulle tendenze in voga. I moderni frequentatori dei locali notturni aspettavano quel solenne momento della settimana che consentiva di esibirsi sulla pista da ballo: quell’abito bianco da tamarro di Tony Manero abbinato alle “platform shoes” venne immediatamente imitato dalle masse (ai tempi utenti ben più “maturi” rispetto ad oggi) presi da tale “febbre” del fine settimana. È strano comunque che "SNF" in verità non era affatto simile ad un musical, e fosse pensato come dramma, il quale affrontava disparate problematiche delle comunità ai margini delle metropoli, come quelle delle minoranze etniche nelle grandi città, dell’aborto sconsacrato dalla Chiesa Cattolica, dell’indolenza manifestata da alcuni giovani adulti (rappresentati dalla comitiva di Manero), ed anche l’eterno dilemma del rapporto sentimentale/amichevole tra uomo e donna. Inoltre, stupisce che uno dei personaggi cardinali della trama, il fratello prete (Martin Shakar), compaia solo in pochissime scene e abbia dei dialoghi ridotti all’osso: il film è ben distante dall’essere perfetto e a dirla tutta non è nemmeno pienamente convincente nella scrittura. La recitazione sembra troppo spesso sopra le righe e i personaggi sono stereotipi degli italo-americani; rimane in ogni caso una delle pellicole più popolari di sempre, vista chissà quante volte dai fan accaniti e venerata addirittura da noti critici (Gene Siskel affermò d’averlo guardato diciassette volte). Questo in quanto rispecchia fascinosamente quel tipo di adolescenza scafata ambita da diversi spettatori, presumibilmente cresciuti nel periodo post-hippie. La regia di Badham gestisce accademicamente le performance dei componenti del cast (l’impronta di una direzione da piccolo schermo è ricorrentemente in agguato); la cinepresa dà il meglio di sé proprio nelle parti ambientate nella sala del "2001", le quali, ritmate dal groove fluido e incalzante dei Bee Gees, sciorinano tutto il carisma di Travolta in una delle rare interpretazioni veramente efficaci. E se la chimica con Stephanie (Karen Gorney) non persuade completamente, la star hollywoodiana ci regala pure degli spezzoni romantici di suadente malìa visiva, come nel frammento dove racconta la storia e i particolari della costruzione del ponte Verrazzano, o durante la danza da capogiro all’interno della scuola di ballo. "La febbre del sabato sera" ha una trama un po’ pretestuosa, nel complesso di qualità appena discreta. Nel suo modo furbo di evadere dalla realtà, però, si merita l’assegnazione di cult generazionale che si porta dietro.
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