Regia di Takashi Miike vedi scheda film
Quando si dice "l'arroganza autoriale". Tanto di cappello per i vari "Gozu" e "Audition", ma Takashi Miike (che non so quanti film faccia all'anno) qui ha proprio sbroccato. "The call" è una vera e propria congestione di tutto ciò che si possa immaginare in ambito teen-horror, j-horror et similia. Ed è tutto già visto in decenni di cinema dello spavento, e tutto mischiato alla rinfusa, con un esibizionismo insopportabile. Se l'immenso Powell nel 1960 aveva metaforizzato la cinepresa come "occhio che uccide", in "The Call" ad ammazzare è nientemeno che l'ultimo ritrovato (allora, 10 anni fa, quanto i vari i-phone, i-pad e i-rottoicoglioni erano ancora lungi dall'imporsi endemicamente come tiranniche protesi della mente e del corpo umano) della tecnologia, il telefono cellulare, con la sua spesso odiosa invadenza. Takashi riflette infantilmente sulle paranoie che possono scaturire da un controverso rapporto con la bestia tecnologica, speculando sulle falle negli orari del "registro chiamate", sui paradossi spazio-temporali fra chiamato e chiamante, sul mistero di una suoneria sconosciuta etc...All'inizio fa tanto "Minority Report", col futuro già deciso, e se anche sei così scaltro da accorgerti che sta per arrivare la tua ora, sei comunque spacciato: un buco nero ti si apre sotto i piedi (o al limite in un ascensore) e ti risucchia. Tanto poi puoi fare una chiamata anche da morto...Fra i mille saccheggi del film, la solita bambina col muso, il solito carillon perverso (quante volte l'avremo sentito negli horror?! tra l'altro, tutto già fatto da Bunuel in "Estasi di un delitto"), prima dello showdown finale di fantasmi, urla, buio, mani che spuntano, effettini, effettacci (tutte cose in realtà sparpagliate un po' dappertutto, come una varicella, fin dall'inizio del film). E il trauma infantile (con annesso flashback), e il buco della serratura (con suggestione voyeurista)...e chissà come mai questi problemi ce li hanno sempre e solo giovani universitarie un po' maialine. E' vero che il copione non è di Takashi, ma questi ha avuto la colpa di volersi accollare tutto il pesante carico tematico, senza operare una scelta, senza focalizzare un argomento, senza imporre una direzione, un senso compiuto al film. La sua arroganza è quella di aver creduto di poter gestire qualsiasi materia narrativa, ricavandone suspence e idee brillanti. Invece l'ingolfamento si presenta inevitabilmente anche a livello formale, con una mdp indecisa se giocare sulla dialettica fra immagine reale e immagine riprodotta dal mezzo-cellulare, oppure se adottare il punto di vista di un personaggio, oppure ancora se trascendere nel surreale...C'è un pò di tutto, come in una minestra insipida. E' talmente stipato e traboccante questo film che per farci stare tutto Takashi ha dovuto fare un uso massiccio di dialoghi sovrapposti (come voci off) ad immagini "extra-diegetiche". Appurato che il livello di tensione non è nemmeno un decimo di quello del film meno riuscito di Hitchcock e che i temi restano fumosi e velleitari, il nostro avrebbe potuto salvarsi giocandosi la carta del grottesco, del citazionismo post-moderno, del giochino divertito...e invece si prende dannatamente sul serio, dirige attori e scene con enfasi, sottolineando ovunque pericoli e significati. Un plauso all'industria cinematografica orientale (specie nipponica e sudcoreana) che permette ai suoi talenti cristallini di girare tutti i film che vogliono: però è chiaro che, con più di un film all'anno all'attivo, fra una chiccha e l'altra ci scappa anche la fetecchia. Cose che succedono...
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