Regia di Jacques Rivette vedi scheda film
Cinema irritante e vuoto, indeciso su tutto, specialmente sulla direzione da prendere. È probabile che Rivette, come l'ultimo Chabrol, continui a girare per sentirsi vivo, ma è un cinema esangue come il personaggio di Emmanuelle Béart, con dialoghi letterari e lontani dalla realtà, situazioni fasulle lontane dalla realtà e risapute in quanto storie soprannaturali, con una trama parallela quasi spionistica, di cui non viene rivelata l'origine, nomi da romanzetto di serie D (Madame X!), interpreti imbarazzati ed imbarazzanti, come lo spaesato Radziwilowicz e l'imbambolata Béart, costretti a scene erotiche risibili, con il solito lenzuolo che li imbraga dalla vita in giù (come fece Daniele da Volterra con Il giudizio universale di Michelangelo). Per di più, c'è l'imperdonabile espediente intellettualistico del mestiere del protagonista, riparatore di orologi. Indegna fine di quel che resta della Nouvelle Vague, ridotta a ripetere sé stessa, come un vecchio playboy di periferia, con i capelli colorati da riflessi rossastri e la camicia aperta sul petto che mostra pelacci incanutiti.
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