Regia di Jacques Rivette vedi scheda film
Solitario orologiaio di mezza età incontra e si innamora, ricambiato, di un misteriosa ed affascinate ragazza con cui inizia una tormentata convivenza. Diviso tra una misurata e razionale passione per la meccanica e la ricerca di un difficile equilibrio sentimentale, estorce denaro ad una fraudolenta venditrice di pregiate sete cinesi con qualche scheletro nell'armadio, finendo per scoprire una sconcertante verità riguardo la sua enigmatica compagna.
Quarto capitolo di una ideale quadrilogia che l'autore riesce a completare solo dopo circa trent'anni, questo racconto del sempreverde Rivette è una interdetta ed ineffabile ricognizione nei territori di un esistenzialismo metafisico che cerca di restare ancorato (e per lo più vi riesce) entro gli schemi di una dialettica teatrale autore-spettatore che si fonda sugli studiati ammiccamenti di una messa in scena divisa tra giallo e dramma sentimentale, tra i sussulti di una irriducibile passionalità e la rassegnazione ad una irrevocabile solitudine, fino al colpo di scena finale che sembra sovvertire le imponderabili leggi della vita e della morte.
Raffreddando con il suo stile asciutto ed enigmatico una scottante materia letteraria, Rivette riconduce il discorso esemplare sulla irriducibilità dei rapporti umani alla stridente contraddizione tra il dominio della razionalità che presiede alle leggi della meccanica e quello della irrazionalità che regola le fantasmatiche ed evanescenti relazioni tra realtà tangibili ed intangibili, tra amore e morte , tra memoria ed oblio fino al macabro punto di incontro in cui queste dimensioni incompatibili sembrano riconciliarsi nel tragico rintocco di un accordo isocrono, nel lugubre cigolio di una corda penzolante. Attraversato da una sommessa ironia e dalla consapevole scrittura di un artificio demiurgico ('Sono stato manipolato. Manipolato? Ma da chi? Da una donna. Le donne...'), questa indagine metafisica sulla solitudine e sulla memoria alterna momenti di una prolissa quotidianità ai sussulti di uno straniante onirismo, toccando il culmine di una singolare intensità emotiva nelle due scene d'amore che punteggiano la disperata discesa agli inferi della protagonista femminile, ora preda di caccia di un rude macellaio dal tocco di piuma, ora impavida amazzone avvinghiata al suo nemico in un ardito abbraccio d'amore e di morte. Nel tragico oblio di una inevitabile dipartita e nella muta presenza di due solitudini che si scrutano in una stanza vuota, si rivela l'estremo atto di un gesto d'amore, il senso di una presenza smarrita che ritorna tra i vivi, di una strenua speranza che non si arrende alla morte. Strardinaria coppia di attori tra il Julien di Jerzy Radziwilowicz che ricorda il disilluso Marlowe di Elliot Gould (con tanto di gatto sulla spalla) e la sensuale e magica presenza di una splendida Emmanuelle Beart quale fantasmatica reincarnazione di una ammaliante femme fatale. Storia di fantasmi francesi.
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