Regia di Djamshed Usmonov vedi scheda film
Il film è dignitoso e costituisce un affresco di vita in un villaggio mussulmano in una repubblica ex sovietica dell’Asia centrale. La storia volutamente è un poco bislacca ed a tratti sconnessa ma tutto sommato ben narrata, interpretata in modo naturale da tutti i personaggi che compaiono, in uno stile documentaristico ed assai realistico.
Il film è dignitoso e costituisce un affresco di vita in un villaggio mussulmano in una repubblica ex sovietica dell’Asia centrale. La storia volutamente è un poco bislacca ed a tratti sconnessa ma tutto sommato ben narrata, interpretata in modo naturale da tutti i personaggi che compaiono, in uno stile documentaristico ed assai realistico. Qualche difficoltà può sussistere nella differenza culturale e di costumi sociali che vengono descritti rispetto ai nostri attuali, ma neanche poi tanto se si considera come si viveva solo alcuni decenni fa nelle nostra campagne, soprattutto meridionali. Notevole la dignità dell’anziana madre protagonista che conduce una vita di stenti e di rinunce, e che si finge gravemente malata e moribonda per far tornare il figlio al villaggio natio. Ma vale in generale per quasi tutte le donne che compaiono, di cui si intuisce la vita grama e sottomessa che devono condurre in un tale contesto maschilista (che poi era anche il nostro, fino a non molto tempo fa e con qualche strascico). Altra difficoltà nel seguire la trama si ha forse a causa di un imprecisa traduzione e doppiaggio, per cui le somme che il figlio della protagonista deve a mezzo villaggio (indebitato fino al midollo e da parecchio tempo, motivo per cui deve essere fuggito una decina di anni prima), sono piuttosto ballerine, e variano secondo le circostanze, non si sa bene a causa di quale dinamica. La cultura essenziale che emerge nel villaggio, semplificata all’estremo, è ben espressa dalla protagonista quando racconta al nipote la storia dei due angeli, uno per spalla, che ci seguono invisibilmente ed annotano le nostre azioni per essere poi giudicati alla fine del viaggio terreno. Alcune sequenze sono poetiche ma mai struggenti ed il tratteggio psicologico del protagonista maschile, il figlio criminale ed amorale dell’anziana signora, è tale da catturare l’attenzione fino alla fine, nonostante sia riprovevole e non possa mai suscitare alcuna simpatia. Ma nonostante ciò, una specie di canone solidaristico ma anche utilitaristico del villaggio, ben incarnato dal sindaco che si fa gli affari di tutti (in senso non solo simbolico e non certo di gossip, una specie di moderno capovillaggio, come esistevano nel medioevo), cerca pervicacemente un equilibrio e perviene ad una soluzione finale, che appare fin troppo come un lieto fine. Del resto la storia è realistica al 90 per cento, c’è un 10 per cento di “magia materiale”, un escamotage cui ricorre la donna e madre del gaglioffo per tirarlo fuori dai guai. Irrompe all’improvviso dal sindaco per chiedere di anticipare la propria morte, che parrebbe predestinata per tutti e quindi programmata, ed il sindaco consultato un libro che tiene gelosamente custodito in cassaforte, gli rivela quando dovrebbe avvenire. La data però è troppo tardiva, non utile a risolvere la questione, pertanto lei la scambia con la madre del sindaco la cui morte è imminente, ma occorre un’autorizzazione dall’alto. Simbolismi più materiali che spirituali e morali, come si intravedono anche nel corso della narrazione, in cui tutto si fa e si decide in pochi secondi stringendosi la mano e tenendola stretta e strattonandola fino a farsi male durante una serrata contrattazione. Si negozia su tutto, nessun prezzo è fisso e valido per tutti, tutto è negoziabile, anche la morte, basta fare una telefonata a chi sta in alto, una qualche “eccellenza altolocata”. Poi si devono rispettare le regole comunitarie, il funerale deve essere fatto secondo tutti i crismi, accontentando le aspettative dei suoi abitanti, i quali partecipano in massa. Il farabutto può ripartire emendato dai suoi debiti e nella coscienza, rincorso da una ragazza del paese cui il suo fascino tenebroso e criminoso ha lasciato il segno, e che nel corso del film ha fatto praticamente scena muta, fornendo solo un apporto di pudico erotismo al protagonista. Il quale partendo con il figlio al seguito, non la degna di alcuna considerazione. Lui perpetua la dura tradizione maschilista, il cambiamento è riposto nel figlio, che educato dalla nonna, parrebbe di una sensibilità superiore, ed il suo sguardo e quanto impugna nella mano (la dote della nonna, che contiene anche un insegnamento e precetto) farebbe ben sperare.
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