Regia di Robert Harmon vedi scheda film
Non è un secondo "The Hitcher", ma non delude affatto questo ritorno di Robert Harmon. Il regista della lunga strada della paura, di "China Lake" e del recente "They" non ha deluso affatto. Il film è solido e classico, anche se ogni tanto ci sono affascinanti inserti con fotografia e montaggio evocativi che non guastano per nulla. La trama può essere improbabile e a volte ridicola, ma chissenefrega! La verosomiglianza non fa per il cinema! E non è nemmeno da sottovalutare l'ambizioso contenuto (in parte non raggiunto) di eguagliare le riflessioni horror di Carpenter e Cronemberg. Nella prima sezione del film, quella "Metropolitana", viene approfondito di più il discorso "macchina": l'assassino, il cui nome James Fargo suona bene e sembrerebbe creato apposta per ritornare sul grande schermo, non viene mai fatto vedere, lo percepiamo solo dalla sua macchina e da veloci stacchi sui suoi particolari meccanici. Anche gli aspetti meccanici in generale (ruderi, autolavaggi, ingranaggi, ecc...) vengono sistematicamente inquadrati, anche al rallenty, e in primissimo piano, quasi a siglare un ampat tra lo spettatore e il film. Nella seconda sezione invece, quella "desertica", che avrei preferito più lunga e centrale rispetto alla precedente, c'è di più una componente "fisica": l'assassino lo vediamo, ci parla, interagisce e tocca la protagonista. Non ci fa più paura, e secondo me qui sbaglia Harmon. Però ha il pregio di creare in questa sezione un non-luogo baviano in cui sono presenti tutti gli ingredienti, inverosimilmente amalgamati, del film: cattivo, protagonista, la bella preda, l'amico, il luogo del delitto della moglie di Caviziel, la macchina distrutta di Fargo. Questo ci porta dentro l'universo morboso della storia, in cui c'è tutto l'immaginario creato da Harmon dall'inizio del film.
Se c'è una caduta vera e propria io la rintraccerei quando Caviziel spiega all'amico di colore la storia di James Fargo e i vari perchè della vicenda: io odio le spiegazioni, sono televisive, riduttive per la poesia del cinema e per l'acume e l'intelligenza dello spettatore. Non bisogna spiegare tutto al grande schermo! Se in un film vedessimo una signora vestita di bianco che s'incammina in un tunnel ed esce in una tenda di una tribù sudafricana per bere del cafè offortole da un serial-killer ancora sporco di sangue...non facciamoci troppe domande: è cinema!
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