Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film
Rivedere questo film dopo l’evoluzione del cinema di Kim ki-Duk degli ultimi anni, questo nel bene e nel male, fa decisamente impressione, perché, a parte qualche traccia, si trova un’ispirazione diversa.
Fu il film che lo consacrò, almeno dalle nostre parti (fu anche un discreto successo commerciale) e possiede una grazia ed una concisione capaci di lasciare di profondamente di stucco.
In una piccola casa in mezzo ad un laghetto immerso nella natura, un vecchio monaco tramanda i suoi insegnamenti ad un bambino.
Crescendo quest’ultimo conoscerà prima l’amore ed il sesso, poi le delusioni della vita, la necessità di espiare le proprie colpe ed a sua volta sarà poi chiamato a far crescere una nuova vita.
Kim ki-Duk colpisce il bersaglio grosso, ovvero riesce nell’ardua impresa di essere spirituale e filosofico risultando al contempo facilmente assimilabile, ovvero si svuota degli orpelli e con semplici insegnamenti, o vicissitudini, lievi o gravi che siano, di vita costruisce un circolo esistenziale ed universale.
Divide la trama in capitoli, che poi non sono nient’altro che le stagioni del titolo (anche questo giustamente circolare), e lo fa per il clima, ma prima di tutto per gli avvenimenti della vita che sono il succo del discorso.
Un contenuto di sentimenti, necessità, inevitabili fallimenti e rinascite, tra conoscenza (l’importanza della vita di ogni essere), sofferenza (capire il male che s’infligge su se stessi), gioia (la scoperta del sesso, una panacea improvvisa e trascinante), dolore (su se stessi e per il male inflitto) e piacere.
Mutazioni di animo e corpo, parabole tanto semplici, quanto efficaci (e lo sono tanto più proprio per la loro essenza cristallina), già c’è pure una traccia del Kim Ki-Duk che verrà che per se stesso si ritaglia il ruolo della sofferenza, con un auto castigazione.
Il resto lo fa il contesto, l’ambientazione infatti è di rara bellezza naturale e lo scorrere delle stagioni la glorifica in tutti i modi possibili ed immaginabili.
Una vera rivelazione, certo di un talento già rivelato prima e confermato dopo (con qualche ombra in più, va detto, nonostante il premio più importante della sua carriera ricevuto a Venezia), Kim Ki-Duk è il più umano tra gli umani, fallace, catartico, ma anche aperto come pochi altri alla vita, l’importante è non chiudere gli occhi.
E con questo film è impossibile farlo.
Semplice e sconvolgente.
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