Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film
Non è il miglior Kim Ki-duk, ma che un suo film esca nelle sale è già una specie di miracolo. In confronto a lavori come Bad Guy, The Coast Guard e Samaria, Primavera, estate… dimostra una propensione alla conciliazione verso il gusto occidentale che manca del tutto nelle opere migliori del regista coreano. Però averne. Se è vero che verso l’ultima parte, l’opera diventa un po’ troppo pomposa e “folcloristica”, è anche vero che per tre quarti riesce a descrivere un mondo e una vita con una durezza e un’inevitabilità da far venire spesso i brividi. Nella circolarità dell’esistenza del protagonista, da bambino fino alla vecchiaia (con re-inizio), Kim ci mette di fronte a un processo di causa ed effetto che taglia la retorica didascalica sul nascere proprio per la sua elementarità nuda e cruda. Si veda, per esempio, il primo episodio, col bimbo che mette in atto piccole crudeltà sugli animali, gesti che poi gli si ritorcono contro. L’universo di Kim Ki-duk è generalmente fatto di “grigi”, più che di bianchi e di neri; quando i bianchi e neri sono invece netti (si veda pure The Coast Guard), il risultato è forse meno convincente, a una prima occhiata, eppure non è meno lucido né meno preciso. Anzi, la lucidità è appunto ciò che ferisce maggiormente, nel cinema di Kim, perché prova di una risolutezza sfrondata del superfluo, anche stilisticamente parlando.
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