Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film
Meno geniale di "Soffio" o "Ferro 3", ma di gran lunga più riuscito di "Time" o "La samaritana", è un'opera di grande armonia figurativa, nella quale al montaggio è riservata l'edificazione di quella struttura circolare e ricorsiva (a spirale, verrebbe da dire) che poi l'estroso cineasta coreano avrebbe perfezionato in alcune sue opere successive. La vita come ciclo, dunque. Con le sue fasi, le sue stagioni, le sue brusche rotture alle quale corrispondono insanabili ellissi temporali. E' difficile trovare un altro film che esprima in maniera così poetica ed acuta sensazioni e stati d'animo di età tanto diverse fra di loro come l'infanzia, l'adolescenza, l'età adulta, la senilità. La scoperta della vita, quella del sesso; poi la corruzione dell'animo, e infine la purificazione. Un processo doloroso, che Kim Ki-Duk punteggia in maniera sopraffina, indicando con grazia le assonanze fra i 4 stadi, giocando metaforicamente con porte che si chiudono e si aprono nel bel mezzo di un lago e alternando sapientemente i toni, dal tenero della Primavera, al passionale dell'Estate, dal sofferto (con punte di grottesco) dell'Autunno, al malinconico dell'Inverno. Ricorrono solo alcuni dei temi che avrebbero caratterizzato, di lì a poco, la stagione maggiore del regista: tuttavia, il discorso sul rapporto fra l'uomo e l'ambiente circostante, il primo invisibile come un fantasma ("Ferro 3"), il secondo artificiale ("Soffio"), è in qualche modo rintracciabile nella ricerca della propria anima riflessa nel paesaggio naturale. A restare impressa nella memoria, è la lunga, strepitosa sequenza delle parole incise, cavate e infine dipinte sul pontile, gigantesca allegoria testuale di tutto il cinema di Kim.
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