Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
L'universo di Luis Buñuel ha la peculiarità ormai nota di non avere un senso preciso. Esattamente come ne "L'angelo sterminatore", in "Le Charme Discret de la Bourgeoisie" vengono esposte delle situazioni bizzarre, le quali in più di un'occasione destabilizzano lo spettatore abituato alla "razionalità cinematografica". Più di ogni altro Buñuel ha infatti compreso completamente il potenziale del mezzo di trascendere le tradizionali convenzioni della narrativa. Anche in questo caso si tratta di una satira sulle caste altolocate francesi che segue una struttura basata sul nonsense; qui vediamo un gruppetto di snob, esplicitamente cinici e sprezzanti delle classi medio-basse, partecipare ad una serie di inviti a cena continuamente interrotti dall'intervento di "nuovi ospiti", spesso individui i quali ricoprono ruoli di potere nell'ambito politico/militare. Il vizio di "nutrirsi" viene messo in mostra durante tutto il minutaggio (non solo di cibo... e gli adulteri ricorrenti ne sono un esempio). La pretenziosa "civiltà" della società professionale si trova sconvolta dalla veemenza casuale e dal caos. La condotta dell'ambasciatore straniero spacciatore entra in conflitto diretto con le forze della guerriglia che la sua ragion di stato interna genera, il giardiniere monsignore della chiesa finisce per rivelarsi all'assassino dei suoi genitori mentre il colpevole è sul letto di morte, il cocktail party organizzato da un generale degrada in una piccola baruffa nella sua sala da pranzo, una coppia sessualmente frustrata è costretta a eludere la compagnia e si concede l'amplesso in giardino, un banchetto pomeridiano si trasforma in una verifica della confessione fratricida di un giovane tenente dell'esercito. I protagonisti rimangono oniricamente "intrappolati" in una dimensione di stasi dove la loro insensibilità resta inalterata. Il regista si occupa invariabilmente della discrepanza tra apparenza e tangibilità; decoro e desiderio. La sua visione del mondo era sovversiva e anarchica. Un “allegro pessimista”, scettico benché non suscettibile alla disperazione bergmaniana. Le implicazioni defluiscono nelle barbarie, volte a sottolineare l'attitudine sordida e piena di pregiudizi dei ceti di potere. L'insorgenza estemporanea di questi assurdi e grotteschi episodi segue una dinamica "ad incastro", in cui ogni sogno viene correlato all'altro nel momento in cui la tensione tra "gli invitati" diventa motivo di colluttazione, ed il quadro degenera in immagini sferzanti, frequentemente soggette a ripieghi brutalmente sanguinari. Il cast ha degli interpreti eccezionali: Fernando Rey è perfetto nelle vesti dell’ambasciatore in combutta col narcotraffico che mantiene costantemente la paura di essere ucciso; Stéphane Audran e Delphine Seyrig ricoprono egregiamente il ruolo delle donne snob fredde e calcolatrici, dall’ambiguità inquietante. Il film, comunque, in qualche piccolo frangente, si sviluppa in alcune derive concatenate al plot centrale in maniera un po' ingarbugliata e sfibrata. Buñuel, però, non esita mai nel far emergere il temperamento perbenista, conformista, e fariseo di un mondo abietto e distante dal popolo.
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