Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
Don Rafael Acosta (Fernando Reiy), ambasciatore in Francia del piccolo Stato Sudamericano di Miranda, approfittando della sua posizione diplomatica, trasporta droga illegalmente facendo lauti affari con altre due distinte personalità, i signori Thevenot (Pauk Frankeur) e Senechal (Jean-Pierre Cassel). I tre soci, insieme alle mogli dei due, Simone Thevenot (Delphine Seyring) e Alice Senechal (Stephane Audran), e a Florence (Bulle Ogier), sorella di Simone, si frequentono molto e ogni volta che tentono di pranzare vengono interrotti da avvenimenti imprevisti e inusuali.
Sei personaggi tipo e una situazione che ciclicamente si ripete più volte lungo tutto il film, sono il pretesto usato da Luis Bunuel per una divertita disamina sullo stato di salute della borghesia. "Il fascino discreto della borghesia" è uno sferzande apologo antiborghese, tutto giocato sull'ironia e sull'illogica concatenazione dei fatti narrati : per smascherarne i vizi privati e ammantare di grottesco il loro pubblico perbenismo. Viene derisa la sacralità di uno dei momenti cardini della condizione borghese, quella della riunione a tavola, dove, tra una prelibatezza culinaria e l'altra, ognuno fa solitamente sfoggio della propria classe e ostenta la vastità delle proprie esperienze di vita. I convenevoli e le più opportune frasi di circostanza impazzano e per non non fare un torto alla gradevolezza della situazione l'ipocrisia benpensante tocca livelli d'eccellenza. Su tutto, a conferire quell'immancabile vena surrealista del maestro spagnolo, aleggiano i sogni dei tre personaggi, che invece di marcare dei momenti di rottura con la realtà, l'evidente evasione da essa, rappresentano la continuazione plausibile della loro vita, la dimostrata ambiguità del loro perbenismo di facciata. Come a voler sottolineare che non è possibile mascherare in sogno ciò che è possibile fare nella realtà. Sale da the che non possono servire il the, cadaveri onorati in una sala di un ristorante, improbabili terroristi, storie di brigadieri "insanguinati" e di genitori defunti che appaiono al figlio per esortarlo a commettere un omicidio, le manovre dell'esercito nel giardino di una villa, un Vescovo (Julien Bertheau) che chiede e ottiene di essere assunto come giardiniere dai signori Senechal. Queste sono solo alcune delle situazioni grottesche che ruotano attorno alle vicende dei sei protagonisti, che contribuiscono a conferire al tutto un senso di perenne immobilismo, di voluta incompiutezza. Le loro azioni non giungono mai a compimento, sono sempre sul punto di fare qualcosa che non fanno mai, di cominciarle senza mai portarle a termine. Le situazioni rimangono sempre in sospeso, come un cerchio che non si chiude mai. Proprio come succedeva in "L'angelo Sterminatore", ma se nel capolavoro "messicano" il generale senso di indeterminatezza serviva a spingere dei borghesi delineati al massimo della loro forma nel baratro dei loro più bassi istinti, qui serve ad accrescere il senso della loro indole parassitaria, a dare l'idea che la perpetuazione della loro posizione sociale, come evidenzia Ugo Casiraghi, deriva più "dall'inazione che dall'azione". Luis Bunuel c'è li mostra spesso mentre vagano lungo una strada in mezzo all'aperta campagna, intenti ad andare diritto verso un punto non ben precisato, come chi vaga senza una meta e senza una guida che gli indichi la direzione. Come chi non sa recitare ruoli diversi da quelli rigidamente definiti dalle convenzioni sociali (straordinaria in tal senso è la celebre sequenza sul "sogno del teatro"). Affatto preoccupati del vuoto che li avvolge, sanno di poter contare sull'alleanza funzionale dei loro amici (clero, esercito, polizia), sulla forza corporativa di un sistema di potere che riesce a sopravvivere all'iproduttività stessa delle proprie azioni. A far rimanere tutto indefinito e, perciò, tutto immutabile. Capolavoro, l'ennesimo di un maestro.
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