Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
La compostezza della borghesia è un atteggiamento forzato e labile, che crolla, ad ogni piè sospinto, dietro l’irresistibile richiamo della trasgressione. Il proibito, che si confonde con la primitività del “popolo”, è come un sottosuolo oscuro in cui, regolarmente, ci si rifugia per consumare in privato le proprie manie e dare libero sfogo alle proprie ossessioni. Per l’occasione si depongono gli abiti del decoro (i vestiti da sera, per amoreggiare tra i cespugli, o il cappello vescovile per perpetrare una vendetta) e si abbraccia la vita come viene. Questi atti si consumano per lo più frettolosamente, perché c’è sempre il terrore di essere spiati e colti sul fatto da parte di un pubblico che, allo snobismo della haute société, risponde, ingiustamente, con una sfacciata indiscrezione. Il piacere viene così irrimediabilmente rovinato dalla soggezione: i cosiddetti potenti pretendono, arrogantemente, di avere in mano il mondo, però, nel loro intimo sanno che non è così, perché basta un nonnulla a spezzare il filo sottilissimo a cui è appesa l’integrità della loro immagine. La loro facciata perbenista è continuamente minacciata dagli eventi indesiderati, dalla violenza di un’umanità in tumulto, dai loro stessi passi falsi; il banchetto che, in questo film, viene interrotto a più riprese, simboleggia l’impossibilità di godere serenamente, e in maniera conviviale, la loro privilegiata condizione. L’irrompere della vita vera infrange ripetutamente l’incantesimo, proponendo sempre nuove situazioni da cui fuggire, sempre nuovi motivi per correre a nascondersi. Per questo la loro esistenza assomiglia ad un viaggio a vuoto, lungo una strada deserta, in cui si cammina insieme, ma non si sa verso dove. Si procede affiancati, tutti ugualmente smarriti, però ciascuno per suo conto, e senza porgersi la mano, perché l’insicurezza sulla propria coscienza si riflette nel sospetto verso gli altri. Le reciproche confidenze hanno un’aura sinistra, che anziché creare vicinanza e complicità, produce, nel gruppo, un effetto straniante e surreale. Il senso dell’osceno non si applica ai vizi coltivati e ai crimini commessi, ma soltanto al modo in cui se ne parla: un colpevole pudore copre, infatti, le miserabili motivazioni dietro a certe azioni, che, in questo film, sono rese inudibili da opportuni rumori fuori campo. La verità riemerge solo nel segreto, con gli scheletri nell’armadio che ritornano, nei sogni, sotto forma di fantasmi, sovrapponendosi agli spettri delle abituali, quotidiane paranoie di casta. Il fascino segreto della borghesia è la psicanalisi del “tutto per bene”, che porta alla luce le pene individuali cagionate dai dettami di un assurdo codice comportamentale, che da un lato impone il sotterfugio, dall’altro rende assai dura la vita a chi lo pratica. La morale di questo lungo, rocambolesco aneddoto, potrebbe, in definitiva, essere questa: eternamente sola ed errante è l’anima che l’ipocrisia condanna ad una travagliata clandestinità.
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