Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
Buñuel con il suo spirito anarchico e dissacrante carico di beffardo umorismo, frantuma con implacabile lucidità e un’ironia cattiva ancor più feroce del solito, le (in)certezze di una borghesia obsoleta e arrogante parassitaria e impotente in un andirivieni costante fra sogno e realtà che rende labili ma seducenti i confini fra le due dimensioni
Il perbenismo di una classe borghese parassitaria e impotente in costante e progressivo disfacimento che nasconde abissi di inusitata violenza e perversione, viene qui perfettamente “smontato” nei suoi meccanismi storicizzati, messo in scena e stigmatizzato (quasi deriso e reso anacronisticamente “indecente”) grazie alla esemplare e irriverente causticità genialoide di un regista ancora una volta in stato di grazia. Buñuel, utilizzando il suo stile visionario e beffardo, frantuma con implacabile lucidità e una ironia cattiva ancor più feroce del solito, le (in)certezze di una casta deprecabilmente obsoleta e presuntuosamente arrogante evidenziandone i tanti vizi e le pochissime virtù in un “andirivieni” continuo fra sogno e realtà che rende labili e confusi i confini fra le due dimensioni, operando di cesello e con la meticolosità e la precisione millimetrica di un bisturi tagliente che è capace di scarnificare il tessuto infetto per liberarlo dal pus che sta pericolosamente degenerando in necrosi. Lo fa seguendo un tracciato inusuale e personalissimo che ben evidenzia e amplifica lo spirito anarchico e dissacrante ma carico di pungente umorismo, che è una delle caratteristiche peculiari del regista (sicuramente quella più singolare e stuzzicante), all’interno di un procedimento ondivagamente reiterante dove la “verosimiglianza è soltanto una illusione” e la struttura del racconto tradizionale è ancora una volta demolita dalle fondamenta nella ripetitività quasi ossessiva delle azioni, che riesce perfettamente ad ”annullare” non solo il concetto di credibilità, ma anche quello che tenta di definire la dimensione del tempo e dello spazio all’interno dei quali dovrebbero collocarsi le azioni rappresentate. E’ un balletto ossessivo e ininterrotto (né interrompibile) di un manipolo di personaggi che tentano caparbiamente senza riuscirci di sedersi insieme intorno a un tavolo per consumare un pasto insieme, in un susseguirsi infinito di improvvisi imprevisti che rendono crudelmente impossibile la realizzazione pratica del progetto, spostando così la visione nella dimensione dell’incubo grottesco di un movimento circolare e avvolgente destinato a non concludersi mai. Il furore nichilista di tutto il cinema Bunueliano è ancora una volta evidente e implacabile, ma mai come in questo caso così intriso di intelligente leggerezza nel rimescolare sogni e realtà, simboli e riflessioni, scherzi e analisi comportamentale, dal rendere il tutto divertente e “perfettamente accessibile” come se si trattasse di una commedia e non di una analisi “riflessiva sociologicamente attendibile e politicamente necessaria. Ed infatti, l’assunto è intriso di pessimismo profondo, solo in apparenza “mascherato” da fatuo (e improbabile) divertissement fine a se stesso, una struttura che ha semmai il pregio di rendere il tutto persino maggiormente accessibile anche per il disattento spettatore occasionale, una volta tanto reso inconsapevolmente attivo, semplicemente fruendo della visione, nel processo attivo della analisi critica che porta alla riflessione e al giudizio.
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