Regia di Jafar Panahi vedi scheda film
Hussein Aghà (Hussein Emadeddin) ed Alì (Kamiar Sheisi) sono due amici che più che vivere sopravvivono tra mille stenti e difficoltà. Lavorano consegnando pizze a domicilio e le volte in cui si trovano a contatto con l'alta borghesia cittadina è pari a quelle in cui si ritrovano a dover far fronte agli ordinari problemi del vivere quotidiano. La ricchezza gli gira continuamente intorno e loro possono sentirne soltanto l'odore. Questa cosa ossessiona Hussein Aghà, soprattutto perchè vorrebbe regalare un gioiello alla sua prossima sposa (Azita Rayeji), sorella di Alì, ma non può farlo. Così decide di rubare una gioielleria, la stessa in cui è entrato due volte uscendone tristemente umiliato a causa dei suoi abiti inadeguati.
"Oro rosso" (vincitore della sezione "Un certain regarde" a Cannes) dell'iraniano Jafar Panahi è un film che fissa l'attenzione sulla sorte di un ragazzo corpulento a cui è capitato di nascere nella parte svantaggiosa del mondo. Attraverso il girovagare senza posa di Aghà, si riflette sulla fondamentale importanza degli equilibri sociali in un tempo dove un pò di solidarietà potrebbe aiutare a far guardare le cose da una diversa prospettiva e una parola spesa male potrebbe anche essere sufficiente per innescare un violento spirito di rivalsa in animi lugamente vessati da iniquità di ogni tipo.
Il film si apre con il bellissimo piano sequenza che inquadra la porta della gioielleria, prima si vede Hussein che raggiunge il gioielliere intimandogli di dargli la refurtiva, poi l'esterno che si popola di persone allertate dalla rapina. Parte dall'epilogo finale, con Hussein Aghà che conclude col suicidio il folle gesto. Poi ritorna indietro, per illustrarci quell'intreccio tra dimensione esistenziale e dinamiche sociali che rappresenta la matrice principale per capire i motivi dell'insano proponimento di un insospettabile disperato. Hussein Aghà è un ragazzo timido e taciturno, è al tal punto sovraeccitato dalla continua ostentazione di ricchezza che gli capita di dover assistere, che esplode in una reazione tanto istintiva quanto naturalmente iscritta nell'andamento sistemico delle cose, un azione che vorrebbe essere la rivincita contro la società dei ricchi e si trasforma nella tragica fine di uno degli innumerevoli emarginati sociali. Il tutto senza che Jafar Panahi si soffermi più di tanto sulle contraddizioni sociali della capitale iraniana o faccia esplicito riferimento a questioni di natura politica. Si limita semplicemente a pedinare il corpulento Hussein Aghà mentre col motorino consegna le pizza in diversi angoli della città, soprattutto nei quartieri alti, dove Teheran somiglia molto da vicino a qualsiasi altra capitale occidentale e le restrizioni retrograde del regime teocratico sembrano sensibilmente più allentate (si ricordi che in Iran sono tassativamente vietati ogni tipo di assembramento). Lo segue mentre è costretto a farsi quattro piani a piedi per una consegna o quando deve aspettare la fine di una festa di giovani annoiati per terminare il suo giro di lavoro, mentre si aggira in un lussuosissimo appartamento mentre il suo proprietario parla di futili problemi o quando estasiato si ritrova per la prima volta a guardare la città dall'alto. Così il suo corpo ci diventa familiare, come la malinconia stampata sul suo volto, che evoca la rabbia inespressa verso il privilegio dato ai ricchi di poter indirizzare in ogni momento il corso della sua esistenza. Con "Oro rosso" si ha l'ulteriore conferma che il cinema di Jafar Panahi aderisce alla realta fattuale con una semplicità disarmante, includendo ogni cosa con estrema naturalezza, voci e rumori di sottofondo inclusi. Tutto è funzionale per quella critica sociale a "bassa intensità" necessitata dalla situazione politica contingente. Ormai questo è un marchio di fabbrica subito riconoscibile, quello che lo affranca dall'ombra ingombrante del maestro Abbas Kiarostami (qui sceneggiatore) e lo eleva al rango di autore importante con uno stile di pregevole originalità. Grande cinema.
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