Regia di Mario Bava vedi scheda film
Ancora una volta Mario Bava riesce a cavarsela più che dignitosamente in una situazione disgraziata (con una storia convenzionalissima e un budget decisamente ristretto) facendo leva su un'inventiva e su doti immaginifiche fuori dal comune: oltre all'ormai riconosciuta padronanza della macchina da presa (anche se ogni tanto rischia di strafare, come nella scena della scala a chiocciola, quando tenta di imitare La donna che visse due volte di Htichcock, con risultato scarsino), si possono segnalare qui un abuso di polvere e di ragnatele finte, un'illuminazione psichedelica (con prevalenza di blu e verde, sia in interni che in esterni) perfino in anticipo sui tempi, urla femminili e altri effetti sonori spaventosi sistemati ad hoc per fomentare l'ansia del pubblico. E, ovviamente, parte del merito va condiviso con la fotografia (Antonio Rinaldi), le scenografie (Sandro Dell'Orco), i costumi (Tina Grani) e le musiche (Carlo Rustichelli), tutti reparti gestiti con grande intelligenza da meritevoli collaboratori; a questo punto sembreranno sminuiti gli apporti degli interpreti, ma effettivamente nè Giacomo Rossi Stuart, nè Erika Blanc, nè Piero Lulli, nè Giana Vivaldi/Giovanna Galletti, tutti comunque a loro posto, impressionano più di tanto. La sceneggiatura è firmata da Roberto Natale, Romano Migliorini e da Bava, il cui figlio Lamberto è accreditato come aiuto regista; due anni dopo Fellini metterà in scena, nel suo Toby Dammit (da Tre passi nel delirio), una bambina con la palla curiosamente simile a quella di questo film: la cosa non passerà inosservata da Bava. 6/10.
Inizio '900. Un dottore viene mandato in un paesino per l'autopsia di una ragazza suicidatasi misteriosamente. Scopre così che da vent'anni, in quel luogo, prosegue una scia di morti sospette di giovani donne.
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