Regia di André Cayatte vedi scheda film
“L’uomo che dispone in Francia dei poteri più ampi è il giudice istruttore”, è la frase con cui un vecchio procuratore malato di cancro apre l’orazione funebre per il suo collega; intanto, pochi metri più in là, un ragazzino porta fiori freschi sulla tomba del padre, un politico morto all’improvviso mentre stava per denunciare la corruzione dilagante. “Di disonesti c’è pieno il salotto, ma di giudici che li fanno tremare non c’è che lei”, ripete una ragazza al nuovo arrivato, infelicemente innamorato di lei: lo dice in tono di amara rivalsa, trovandosi a una festa da ballo in casa del boss, che è ammanicato con tutti e che condiziona le vite e gli affetti di tutti. È la profonda provincia francese con i suoi segreti inconfessabili e i suoi intrighi, il mondo che conosciamo bene dai film di Chabrol ma che nemmeno Chabrol è mai riuscito a raccontare con tanta implacabile potenza: un inferno in cui tutti hanno la coscienza sporca, e quindi tutti sono ricattabili (basta una frase allusiva del capo della polizia per convincere la levatrice a cambiare testimonianza). La prima parte sembra un’anticipazione di Mani pulite: un giudice integerrimo dotato di pochi mezzi (il tribunale fatiscente sembra una casa di fantasmi, soprattutto se messo a confronto con i nuovi quartieri sorti dal nulla) decide di smascherare il marcio dei poteri forti, i cittadini lo appoggiano entusiasti e increduli, i giornalisti d’assalto vivono la loro riscossa. Non so perché Cayatte abbia la cattiva fama che ha (i suoi tre film che ho visto mi sono piaciuti quasi senza riserve), per me la seconda parte è un magistrale saggio di cinema: due indagini, a loro volta sfaccettate in interrogatori separati, seguite con un serratissimo montaggio parallelo e tese a cercare non tanto la verità quanto una versione plausibile da dare all’opinione pubblica (le solite, squallide storie di corna). E alla fine, con una giravolta sorprendente (ma fino a un certo punto: uno dei motivi per cui amo tanto questo film è che, la prima volta che l’ho visto, ho indovinato esattamente il modo in cui andava a finire; la macchina da presa dà un aiutino, indugiando su un dettaglio all’apparenza insignificante), tutto svanisce come una bolla di sapone: l’uomo più potente di Francia butta all’aria le costruzioni fittizie ordite in malafede dal commissario locale e da quello venuto apposta da Parigi, distrugge la propria carriera e si inchina davanti alla maestà della legge.
[alla memoria di Dedo]
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