Regia di Sam Shepard vedi scheda film
Il papà è un cocciuto deposto dal cavallo bizzoso. La figlia accorre al suo capezzale. Il papà le ordine di abbattere l’animale. Ecco lo spunto per parlare anche d’altro. E via allora con l’idillio pacifico dei luoghi del profondo nord americano, con la rappresentazione del correre di quattro generazioni verso l’esistenza in armonia con la natura, con i rapporti familiari di ogni genere. Far North è l’esordio del grande commediografo ed attore Sam Shepard e non è immune da tutti i difetti e da tutti i pregi delle opere prime. La carne al fuoco lento, che divampa fra le montagne fosche, sembra tanta, ma in realtà si rivela poca e non sempre in linea con le ambizioni dell’autore. Quella di fare un film piccolo ed intimo è solo un proposito apparente – e, infine, realizzato chissà fino a che punto consapevolmente –, dal momento che le brame shepardiane sono di ben più ampio respiro, l’intensità paesaggistica dovrebbe, nei presupposti, sposarsi a meraviglia con la nervosità garbata dei suoi protagonista. Nonostante tutto, il film non è male, scorre via come un auto sull’autostrada alla ricerca di un autogrill in cui rifocillarsi. Dura poco ed è un vantaggio: in fondo la storia non regge per più di un’ora e mezza, e il difetto sta nel manico, ossia in una sceneggiatura lineare ma banalotta. Imperdonabile il monologo in auto (per altro ben diretto) a cui è sottoposta la brava Jessica Lange, ma Shepard si fa perdonare con l’elegante e discreto commiato al padre capriccioso nel finale. Una poetica evidente e sottile qui, di rado avvertibile altrove (ma si ricorda con piacere il personaggio della vecchia nonna americana diciotto carati), in un film in cui conta soprattutto il “dove” e il “chi” più che il “come” o il “cosa”. Un’occasione mancata, o forse sfuggita di mano.
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