Regia di Mario Bava vedi scheda film
Folgorante esordio dietro la macchina da presa per Mario Bava, un'opera ancora oggi destabilizzante, fascinosa, magnetica e raffinatissima, che è diventata nel corso del tempo un punto di riferimento imprescindibile all'interno del cinema di genere tutto. Da recuperare assolutamente, almeno per l'importanza storica. Voto 8,5
Folgorante esordio dietro la macchina da presa per Mario Bava, autore a lungo sottostimato in Italia che ha conosciuto, cinematograficamente parlando, una seconda vita dopo la morte, con una progressiva rivalutazione della propria produzione grazie all’ammirazione riservatagli da alcuni dei più grandi registi contemporanei di genere e non solo (Dario Argento, Tim Burton, John Carpenter, Guillermo Del Toro, Martin Scorsese, Quentin Tarantino). La trama, semplice, lineare, e non priva di qualche passaggio che ad oggi potrebbe apparire ingenuo, è visibilmente un pretesto, negli intenti del regista, per dare sfogo al suo immaginario gotico e orrorifico più puro. Fin dalla cupissima e destabilizzante sequenza iniziale, di una potenza visiva impressionante, Bava mette in scena il Male nella concezione più ancestrale del termine, mostrando una società che, tentando di distruggerlo andandolo a ricercare negli innocenti (la principessa Asa, accusata di stregoneria), finisce per crearne uno ancora più grande, potente, immune di fronte allo scorrere dei secoli, e profondamente ansioso di compiere la sua vendetta. Ma il fulcro del film non va ricercato tanto nel rapporto tra la società e il male che è insito in essa, quanto nel racconto della storia di una donna (e, per estensione, di un’intera famiglia) impossibilitata ad abbandonare il decadente castello dove vive, da secoli dimora dei suoi antenati, perché intrappolata in un destino di eterna dannazione da cui è indelebilmente marchiata, così come la strega Asa sua bisnonna, a inizio film, viene marchiata con la maschera del demonio del titolo. Entrambe interpretate dall’icona dell’horror Barbara Steele, in un bellissimo e intrigante doppio ruolo, le donne sono due facce della stessa medaglia, tanto identiche nell’aspetto quanto diametralmente opposte nell’anima: se la seconda si vuole servire del corpo della pronipote per ritornare al potere, la prima risulta totalmente incapace di sottrarsi a questo destino e ha spesso la sensazione di essere venuta al mondo solo in funzione della rinascita della consanguinea. Una chiave tematica di indubbio fascino, imperniata su un onnipresente senso di ineluttabilità perfettamente restituito grazie alla superba e dirompente potenza espressiva della fotografia, dei tagli di luce volutamente irrealistici e dell’apparato scenografico, la cui artigianalità tipica del cinema a basso costo è celata da tutta una serie di geniali trucchi di cui Bava era un impareggiabile esperto. Dunque, al netto degli anni trascorsi, La maschera del demonio rimane un punto di riferimento imprescindibile per il cinema di genere tutto, un’opera ancora oggi ricca di fascino, molto più valida e complessa di quanto lo stesso Bava volesse ammettere e sublimata da diverse sequenze memorabili, tutte immortalate con una perizia tecnica eccellente. Voto 8,5
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