Regia di Mario Bava vedi scheda film
Opera cardine del cinema di genere nostrano, ma non solo, Mario Bava con la Maschera del Demonio (1960), riesce finalmente a debuttare al cinema dopo oltre un venti anni di gavetta come direttore della fotografia, effettista, operatore di seconda unità e non di rado regista non accreditato anche di film esteri per gente anche importante come Raoul Walsh, era quindi un nome già noto tra gli addetti ai lavori, ma sconosciuto presso il pubblico e grazie ai suoi lavori precedenti, riesce ad ottenere la fiducia dei produttori e girare quello che sarà il primo film horror italiano, rifacendosi alla tradizione gotica propria del cinema anglosassone e statunitense, innestandola in un panorama cinematografico nostrano, che non contemplava in alcun modo tali stilemi, costringendo il regista a crearli quindi ex-novo, offrendo così al pubblico nostrano una produzione italiana di un genere fino a quel momento assente dalla nostra filmografia, tranne con l'eccezione dei Vampiri di Riccardo Freda (1957), il quale tra l'altro venne in parte diretto da Mario Bava, che sperimentò parte dei trucchi effettistici adoperati in questo film, ben più maturo e cinematografico.
Traendo ispirazione da un racconto dello scrittore Gogol, il regista con un budget modesto tutto sommato, crea una pellicola gotica che ha qualche richiamo solo negli stilemi base di partenza del genere, per poi inventarne di nuovi nel corso dello sviluppo del film, che può avvalersi oltre che dell'apporto di Bava alla regia, anche del suo contributo negli effetti speciali e sopratutto nella fotografia, che in quest'opera svolge di per sè il 70% del lavoro, vista anche la povertà delle location e i limiti produttivi di un'opera che anche nelle ambientazioni in esterna, in realtà è girata per la gran parte negli studios, ma questo per Bava non è un problema, non solo perchè maschera molto bene il tutto tramite le inquadrature e la nebbia, ma il set costruito gli consente di poter gestire la luce, per creare composizioni visive affascinanti e suggestive, regalando uno spettacolo per gli occhi dello spettatore, ammaliato da quest'atmosfera esotica tipica dei paesi dell'est europa (il film è ambientato in Moldavia).
Un castello, un cimitero e la cripta sono i tre luoghi dove è ambientato praticamente il 95% della Maschera del Demonio, ad eccezione di qualche scena di raccordo, eppure non si sente puzza di teatro filmato, perchè il regista sin dall'incipit riesce ad offrire un'atmosfera lugubre combinata con un orrore molto fisico, tramite l'applicazione prima di un marchio incandescente sulla schiena della donna e poi la successiva apposizione della maschera sul viso della strega Asa Vajda (Barbare Steele), che causa uno spruzzo enorme di sangue. Due secoli dopo tale avvenimento, due viaggiatori che svolgono la professione medica, incautamente rimuoveranno la maschera dal volto della strega, la quale si risveglia e medita vendetta contro la famiglia Vajda e la loro discendenza, poichè sono stati coloro che hanno condannato la strega a morte.
Bava parte sicuramente dal cinema espressionista tedesco per la costruzione delle immagini, ma con un uso ancor più personale della luce, adoperata più che per illuminare in sè la scena, anche come elemento utile per dare un senso ed un tono alla situazione filmata, nonchè sovrapporre più fonti di illuminazione e creare un'atmosfera che fonde gotico e fantastico insieme, arrivando a sovrastare di gran lunga la narrazione del film, che a dirla tutta avrebbe reso al meglio se fosse stato un lungometraggio muto, visto che i dialoghi sono per lo più decorativi o comunque meramente funzionali allo scorrere della narrazione, perchè come in tanti film di Bava l'aspetto visivo è sempre quello predominante e non a caso, il regista nei suoi film si occupa anche a livello tecnico degli aspetti principali che esaltano tale componente, oltre alla fotografia di cui se ne è già parlato, il regista si occupa anche degli effetti speciali, il più famoso dei quali è sicuramente quello dell'invecchiamento e ringiovanimento tramite un'unica inquadratura e senza stacchi, praticato sul viso della strega e su quello del suo "doppio" la principessa Katia (interpretata sempre dalla Steele). Un esordio eccezionale e in tutta probbablità un capolavoro dopo tutto questo tempo, dove il modesto successo ai botteghini nostrani, venne oscurato dalla grande accoglienza estera, specie in Francia e negli USA, dove generazioni di cineasti si ispireranno alle atmosfere di tale pellicola, oltre al fatto che crea un punto di riferimento per gran parte della nostra filmografia di genere di stampo gotico, anche perchè lancerà l'icona del genere Barbare Steele sfruttata ovunque in questi ruoli soprannaturali.
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