Regia di Mario Bava vedi scheda film
“La maschera del demonio”, primo film del genere horror-gotico in Italia, esempio perfetto di come la tecnica e la creatività italiana abbiano fatto scuola per tutto un genere che ha avuto poi tanto successo, non solo nel nostro paese, ma anche all'estero.
Mario Bava, gran direttore della fotografia dei primi lavori di Freda, Mattioli, Rossellini, dopo qualche documentario per l'Istituto Luce, e dei corti...concepisce e crea questa prima opera complessa, unica nel suo genere.
La storia è tratta da un racconto di Gogol, la maledizione di una strega, che prima di essere giustiziata giura vendetta contro la stirpe del proprio fratello che l'ha condannata alla affissione della maschera del demonio sul volto (una sorta di maschera mostruosa con chiodi interni) e al rogo.
Dopo due secoli la strega riuscirà a prendere vita grazie ad alcune gocce di sangue cadute sul suo volto dello sprovveduto dott. Chomas, e cercherà di compiere la propria vendetta, uccidendo i discendenti della sua famiglia e cercando di prendere il posto della pronipote Katia, simile fisicamente a lei.
Bava segue scrupolosamente quelli che sono i criteri classici del racconto dell'orrore, infarcendolo però di quei particolari così moderni che hanno reso unico il suo lavoro. L'attenzione per questi particolari, e per l'atmosfera di paura e angoscia sono i segni che distinguono questo film da tanti altri film dell'orrore dozzinali. Nella prima scena, la marchiatura della strega sulla schiena viene evidenziata con una zoomata pazzesca sulle spalle della seducente Barbara Steele, fino a far sentire lo sfrigolio delle carni e mostrare la bruciatura profonda, in questo modo Bava ha intenzione non solo di “raccontare”, ma di far “provare” la paura, il dolore fisico, provocare sensazioni forti. Così quando alla strega viene messa la maschera del demonio, Bava per rendere più partecipe lo spettatore, lo rende protagonista rivolgendogli direttamente la maschera sullo schermo, facendo comprendere così a chi guarda il dolore che proverà la strega e il desiderio di vendetta che aleggia per tutto il film.
La grande tecnica da direttore della fotografia di Bava, ci regala un bianco e nero degno dei migliori film di Wyler, la luce delle candele trema sui chiaro scuri dei cupi tendaggi, le pietre della cripta e del castello appaiono così precari sempre in costante ombra.
La strega Asa, ha un amante diabolico, anche lui giustiziato insieme a lei: Igor Javutic. Asa lo chiama a se, e sarà lui a compiere i primi delitti e a vampirizzare il dott. Chomas. Una delle scene più belle è proprio quando Javutic esce dalla propria tomba e va al castello per raggiungere la sua amante, e quando alla guida di una carrozza attraversa il bosco per eseguire l'ordine della sua amata e andare a prelevare con l'inganno il dott. Chomas. La carrozza arriva al rallentatore, dando così la sensazione di una velocità inaudita.
Bava crea l'ansia nell'aspettativa con i lunghi percorsi tra sentieri nei boschi, oppure tra i bui corridoi del castello, con il continuo ululare dei lupi e il vento e il temporale che non cessano mai. Crea effetti speciali davvero all'avanguardia per la trasformazione del volto della strega nella tomba.
La cosa che più mi colpisce è che ha utilizzato un nuovo linguaggio “dell'orrore quotidiano”, mi spiego: chi non ha mai provato il dolore per una brutta bruciatura con un fornello o con il forno? Bava ci mostra da subito la marchiatura a fuoco sulla pelle della strega. Chi non ha mai avuto paura di un precipizio, o di cascare e farsi male? Bava ci mostra una lunga lotta dove la morte arriva per la caduta in un pozzo senza fondo. Inoltre la morte del vampiro avviene non con la penetrazione di un paletto nel cuore, ma con una lama nell'occhio, molto più impressionante. Insomma calca la mano su quelle che possono essere le paure quotidiane di ognuno, e non su quelle impossibili di un antico racconto dell'orrore, e le rende visibili...Questo è il grande trucco che ha reso immortali questi film, super citati dai grandi registi del genere, che hanno attinto a pieni mani, in tutte le successive decadi, riconoscendo in Bava un maestro indiscusso!
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