Regia di Paolo Villaggio, Neri Parenti vedi scheda film
Il terzo espisodio di Fantozzi fa emergere alcune novità interessanti. Villaggio inizia a staccarsi dalla natura letteraria del suo personaggio per avvicinarsi ad una comicità più fisica e legata all’ azione. Fantozzi inizia a trasformarsi in una sorta di cartone animato, un personaggio indistruttibile (cade da un palazzo e si rialza) che comincia a spostarsi verso una sorta di astrattezza che finirà, poi, per trasformarlo nella caricatura di se stesso (soprattutto negli utlimi episodi della serie).
Villlaggio, sia detto, per gran parte del film è bravissimo e centra in pieno tutte le varie scene. Indimenticabili le vacanze in montagna, Abbatantuono nei panni del panettiere, la corsa in bicicletta e le varie scene all’ interno dell’ ufficio.
Quella del mondo fantozziano è un’ umanità degradata e squallida, legata agli impulsi più bassi e viscerali della nostra natura. La soddisfazione arriva dalle cose più misere ma a volte, a causa del mondo in cui viviamo, più cariche di un apparente significato. Questo è il valore di tutti gli oggetti che contraddistinguono i grandi direttori. Gli status symbol a cui Fantozzi e gli altri impiegati ambiscono non sono altro che i simboli del potere. Simboli che in quanto tali danno a chi li possiede il prestigio e appunto la possibilità di fare ciò che si vuole, Il Padrone però è distante, non gliene frega niente dei problemi dell’ azienda. Geniale in questo senso è la rappresentazione del padrone stesso (il supermega direttore generale) che diventa una sorta di figura angelica superiore a tutte le debolezze umane. Una sorta di santo capace di perdonare il proprio subalterno (sarebbe meglio dire sottomesso) quando perde le staffe e decide di ribellarsi.
Di questo terzo epiodio Paolo Villaggio cura anche la regia. Dalle sue dichiarazioni capiamo che la scelta più che stilistica è di ordine pratico. Girare da soli fa risparmiare tempo e consente maggiore libertà riguardo alle proprie decisioni. Indispensabile per la riuscita del film, sempre secondo lo stesso Villaggio, è stato il montaggio. Qui a cura di Sergio Montanari che attraverso il proprio lavoro modella e unisce tra di loro le molte trovate dell’ attore.
Nella sua critica verso una società grottescamente servilista si ritrovano personaggi sempre in bilico tra l’ umiliazione e la voglia di umiliare. Fantozzi, naturalmente, è colui che subisce più di tutti. In questo Villaggio è stato molto sadico. Nel far del suo personaggio quasi un’ icona masochista, capace di vivere a pieno anche nelle sue mille sottomissioni. Capace di toccare il fondo, lì dove molti avrebbero detto basta e si sarebbero ribellati. La vera ribellione di Fantozzi, infatti, è nel subire senza concessioni di sorta. Nel cercare nella sottomissione una ragione di vita.
Il rischio più grosso che hanno corso Villaggio e i suoi attori (Reder, la Vukotic, Anna Mazzamauro, anche se assente in questo film) è stato quello di rimanere incastrati dentro i propri personaggi. Un’ identificazione così grande tra l’ attore e il proprio ruolo molte volte si può trasformare in una gabbia. Vedendo come sono andate le cose per Villaggio possiamo ben capire l’ affetto con il quale parla del suo personaggio più importante. Un’ affetto che non viene tanto dalla compassione ma dalla consapevolezza di aver prestato il suo corpo e tutto se stesso a uno dei veri pochi eroi del cinema italiano. Uno che avendo capito i propri limiti e le proprie debolezze più che nasconderle decide coraggiosamente di conviverci.
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