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Indirizzo sconosciuto

Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film

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La recensione su Indirizzo sconosciuto

di Peppe Comune
8 stelle

A Pyongtaek, una piccola provincia della Corea del Sud dominata dalla presenza invasiva di una base militare americana, vivono tre ragazzi accomunati dai segni di una guerra mai troppo lontana per essere totalmente dimenticata. Chang-Guk (Yang Dong-Kun) è un orientale di pelle scura, nato dal rapporto della madre (Pang Eun-Jin) con un soldato afroamericano che non si è fatto più vivo. E’ costretto a lavorare al “mattatoio” dell’amante della madre (Cho Jae-Hyun), un commerciante di carne canina che lo tratta peggio dei cani che fa soffrire ignobilmente. Eonuk (Ban Min-Jung) è una ragazza sola e malinconica, il padre è morto in guerra (o almeno così credono in famiglia) e lei ha perso un occhio per colpa di un arma maldestramente maneggiata. Un soldato americano (Mitch Malum), tossicodipendente e con poca voglia di rimanere in Corea, gli promette di farla operare all’occhio dai medici del campo. Ma in cambio vuole che diventi suo unico possesso. Jihum (Kim Young-Min) è un ragazzo timido e impacciato, continuamente vessato da due malfattori e sempre aiutato dall’amico Chang-Guk. Vive col padre mutilato di guerra (Myung kye-Nam) ed è molto innamorato di Eonuk, anche con la sua menomazione all’occhio.

 

Indirizzo sconosciuto" di Kim Ki-Duk | CineFile

"Indirizzo sconosciuto" - Scena

 

“Indirizzo sconosciuto” di Kim Ki-duk è una riflessione lucida sulla guerra compiuto in tempo di pace, quando le ferite che ha prodotto non cessano ancora di sanguinare e un senso di insostenibile malinconia ha messo solide radici. L’autore sudcoreano sceglie questa volta un approccio più chiaro e diretto, facendo dipendere la condizione di perdurante precarietà esistenziale da cause certe e subitamente riconoscibili. La matrice simbolica che molto caratterizza il suo modo di fare cinema è qui molto meno accentuata, assorbita nella manifestazione lancinante di un dolore che è fisico e morale insieme, tanto figlio delle percosse e delle mutilazioni corporali così esplicitamente esibite, quanto scaturito da un involuzione socio-culturale che ha inghiottito per intero un paese sottomesso. Più realismo e meno afflato poetico insomma, con un linguaggio nitido e incisivo, oscillante tra il dolce delinearsi di uno stato di perenne attesa e improvvise esplosioni di rabbia. Un linguaggio che aderisce alla vita dei protagonisti restituendocene la sensazione di perdurante incomunicabilità emotiva in tutta la sua portata sistemica e antisociale. La madre di Chang-Guk spedisce da anni sempre la stessa lettera all’amato soldato che gli lasciò in dote un figlio da accudire. Ogni volta, quella lettera, ritorna indietro con la dicitura “indirizzo sconosciuto”, parole dure come pietre per chi ha investito tutto sull’attesa di una speranza sempre viva, parole che aprono voragini di solitudine per chi si sente abbandonato ogni istante da un mondo che non sa ascoltarlo. Parole che suonano come un tradimento per un paese intero.

La vicenda esistenziale di Chang-Guk rappresenta la pietra angolare di una dismissione della ragione che tende ad espandersi a macchia d’olio, fino a dare una forma tentacolare alla disordinata manifestazione di una violenza autolesionista, frutto evidente di rancori sempre accesi e sentimenti mai sbocciati. I soldati americani, dal canto loro, giocano a fare esercitazioni di guerra in un territorio abitato da persone che ogni giorno combattono una guerra contro i demoni delle proprie insicurezze. La volontà di potenza dei dominatori esige il riconoscimento reciproco tra due entità sociali marcatamente distinte, l’una impone le regole del gioco, l’altra cerca di adeguarvisi in nome di un allineamento a quell’idea di modernità artatamente imposta. L’incomunicabilità sostanziale che da questa situazione tipo può scaturire, oltre ad alimentare rancori e pregiudizi di ogni sorta, genera una forma assai impura di isolamento che finisce per coinvolgere tutti gli attori fattivamente presenti sul campo. Sia i giovani soldati americani, che iniziano a farsi domande sul senso concreto della loro missione militare, che i ragazzi sudcoreani, che cominciano a sentirsi ospiti a casa propria e orfani di una vita che realmente valga la pena di essere vissuta.

Una lettera carica di futuro che non riceve mai una risposta lascia tutto in sospeso, sia il prima che il dopo, sia la vita che la morte. Intanto, si cerca di imparare l’inglese, si tentano nuovi orientamenti culturali e si spera in un po’ d’amore. È attraverso la parabola di questi vinti dalla vita che Kim Ki-duk parla del suo paese, offertosi nudo all’occidente per scongiurare più in fretta le sue recenti sciagure.

 

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