Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film
"Address Unknown", terzo lavoro di Kim Ki-duk uscito nel nuovo millennio, è un film più lineare rispetto al predecessore. "Real fiction" fu un "esperimento", con un linguaggio visivo e narrativo fatto di alternanza nell'uso dei mezzi e delle riprese e un interessante sovrapposizione tra realtà e finzione. "Address Unknown", a contrario, si presenta, nella forma e nella sostanza, molto più simile al primo, ovverosia a quel "L'isola" che fu presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2000 mettendo in luce, per la prima volta in Occidente, il talento del regista coreano. "Indirizzo sconosciuto" si compie in uno spazio angusto benché non raggiunga mai quel senso di claustrofobia che la piattaforma artificiale conferiva alle acque dell'isola. I luoghi sono più ampi ma limitati ai campi, agli orti e alle casupole di un villaggio contadino. La pellicola è ambientata nel 1970 vicino ad una base militare americana. Kim Ki-duk ci porta idealmente lungo il confine coreano in un'epoca ancora vicina al conflitto armato che si concluse con l'armistizio del 1953, armistizio che, di fatto, non fu mai sostituito da un accordo ufficiale di pace. La mancanza di un trattato rese stabile la "temporanea" presenza dell'esercito americano sul suolo di Seoul, presenza che iniziava ad essere scomoda nonostante il dimezzamento delle forze armate operato da Richard Nixon, proprio quell'anno, per portare nuovi soldati nel vicino Vietnam. "Address Unknown" non è un film sulla guerra e nemmeno un affresco storico della penisola coreana. L'ambientazione, tuttavia, conferisce un senso alle criticità della società coreana dell'epoca alle prese con l'instabilità geopolitica, l'invadenza fisica e culturale dell'alleato e la povertà economica della campagna. Il film di Kim è, allora, un dramma allo stato puro. Un dramma venato di umorismo ed intriso di violenza che colpisce al petto per la sua pulsante atrocità. In "Real fiction" avevamo assistito ad una violenza cerebrale e controllata, frutto di un comportamento calcolato figlio, a sua volta, di una realtà pronta a rivivere in loop nel pensiero del protagonista ma artefatta ed irreale. In questo film la violenza scaturisce da un istinto tribale che non si placa senza un dolore da somministrare o autoinfliggere. In questa storia corale ogni personaggio esplode in un gesto estremo che libera una rabbia a lungo repressa. Eunok si infilza un occhio per recuperare l'amore genuino di Jihun che, a sua volta, esplode di collera abbattendo la sua furia su due debosciati ladruncoli. Il tentativo di omicidio che lo vede protagonista è tanto trash quanto aberrante. Il filo di ferro che entra ed esce dal corpo del giovane è difficile da dimenticare. Allo stesso modo la prostituta si cosparge di fiamme per mettere fine ad un'esistenza di dolore mentre suo figlio, il bastardo nato dalla relazione con un soldato afroamericano, progetta la dipartita del macellaio seguendo la regola dantesca del contrappasso. Ma solo il suicidio dona pace al suo animo avvelenato dal disprezzo di una comunità che non accetta il suo aspetto.
Il male peggiore di questo dramma coreano è, a mio avviso, la solitudine che dell'incomunicabilità, elemento tipico della poetica del maestro, si nutre come un mostro famelico. L'amore muove le piccole esistenze di questa parentesi umana ma non riesce a guidarne la direzione. Nessuno è capace di comunicare apertamente i sentimenti che sconquassano l'anima e il corpo. Ognuno finisce schiacciato dal peso dell'infelicità. I personaggi ricorrono così a surrogati della felicità, nell'impossibilità di aprirsi alla tenerezza filiale e a all'amore. La ragazza si masturba col cane, il giovane che l'ama manca del coraggio di aprirle il suo cuore, Chang-guk picchia la madre che vive nella speranza di ricongiungersi all'uomo che l'ha abbandonata con un figlio molti anni prima. Il soldato americano ricerca nella ragazza un palliativo alla nostalgia di casa mentre il macellaio si accontenta di un sentimento mai corrisposto pienamente. C'è anche spazio per uno sguardo al tessuto sociale da parte di Kim Ki-duk. Il paese è in ginocchio. Il rammendo di guerci pupazzi (i coreani incapaci di vedere) e la vendita carne di cane al mercato permettono di sbarcare il lunario mentre una medaglia conferita dall'esercito per un eroe di guerra scomparso ha il solo scopo di garantire una pensione, un pasto, una vita dignitosa.
Mentre il melodramma si fa sempre più acuto Kim Ki-duk, la cui partecipazione al calvario dei personaggi sembra reale, si lascia andare ad una primitiva forma di ironia. Si sorride quando i tre giovani, in fila indiana, vengono ripresi con un occhio malandato. La ragazza nasconde con la frangia lo sfregio del gioco, il bastardo la ferita dovuta alle sue azioni puerili, il giovane quella procurata dalla pistola costruita con poca maestria. Il resto è pura tragedia, romantica e struggente. Gli istinti primordiali portano alla vendetta, alla morte, al dolore. La perfezione del corpo porta il cuore alla cecità e viceversa il difetto rende puro il sentimento. Una lettera si libra leggera nel freddo della campagna per poi aprirsi all'ironia di uno scherzo che il destino rende atroce e tagliente come l'aria gelida dell'inverno. Ogni cosa è vana. L'esistenza degli uomini, l'orgoglio dell'eroismo, la speranza incisa sulla pelle di una donna. Kim Ki-duk la rimuove chirurgicamente dal corpo e dal cuore perché in fondo per i poveracci la speranza è un lusso che a nulla può servire. Arriva all'indirizzo sbagliato e ritorna tradita al mittente con un carico di sofferenza opprimente.
Opera pessimista ma di rara lucidità nata dal cuore e dalla mente vibrante di un autore tormentato dall'irrimediabile imperfezione umana. (V.O.S.)
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