Regia di Luciano Salce vedi scheda film
Nella fusione di comicità da cinema muto e grottesco quotidiano il neorealismo non abita più qui.
La mediocrità come unico modo per sfangarla, non per vincere ma per sopravvivere. Il nostro perde sempre anche quando per vincere deve perdere non riesce a farlo e quindi perde anche vincendo. La vita dell’impiegato più famoso d’Italia è regolata dalla sfortuna continua che lo perseguita lo segue letteralmente nella sua esistenza scandita dalla sconfitta. Nel momento storico in cui il benessere bene o male è arrivato il nostro si muove tra la caricatura e il fumetto tra deformazioni fisiche e mentali che gli fanno accettare tutto senza nessuno slancio ideale o morale che sia più forte della pur misera posizione sociale raggiunta. Egli è un cristo capace di assorbire su di se tutte le sventure possibili e impossibili immaginabili e inimmaginabili. Il nostro è sempre libero dal dover dimostrare di avere una bella famiglia, verrebbe da dire che il sonno della ragione genera mostri ma qualcuno se li sposa pure. La collega desiderata non può che rimanere tale, desiderio represso di chi sbaglia tutto con le donne imbranato sessualmente e troppo pigro per il moto che non sia quello dalla forchetta o bacchetta alla bocca. Quello che fa la differenza è la sua stessa voce fuoricampo che diventa il narratore epico ed enfatico di tutte le banalità tragicomiche che attendono geometricamente ogni attività del nostro da solo o insieme all’organizzatore Filini che ne condivide dolori e dolori. Quando il nostro si tuffa nel laghetto delle triglie e diventa Cristo al lago di Tiberiade quella voce entra in campo e vorrebbe moltiplicare il riso e i pesci in un cortocircuito geniale tra Bunuel e i Monty python. Fantozzi è la maschera della nostra inadeguatezza di quello che non vorremmo mai essere ma con cui dobbiamo fare seriamente i conti.
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