Regia di Luciano Salce vedi scheda film
Un capolavoro. Il primo Villaggio, Luciano Salce, e un festival di volti, caratteristi, facce, caratteri, situazioni, sketch a sé, tutto il campionario di un mitologia fantozziana che va oltre al mondo del ragioniere più sfigato d’Italia, ed entra consapevole nella “maschera” d’autore. E il geometra Carboni, la signorina Silvani, il vecchio che gioca alla battaglia navale, Liù Bosisio come prima Pina Fantozzi, Plinio Fernando come orrenda Mariangela, e poi i colleghi tutti, il coglionazzo del biliardo, il Dott. Tu Mangia!?, i mega direttori. Tutti, ma proprio tutti votati alla deformazione comica più fisica e grottesca del nostra cultura, erede di una comicità da commedia dell’arte che si mutua con la tradizione italiana e con le avanguardie teatrali di fine ‘800 e ‘900. Su tutti, Ugo a parte, c’è lui, l’immenso Filini. Gigi Reder dà vita e corpo ad un personaggio comico, superiore allo stesso Fantozzi. Filini è il Buster Keaton massimalista (Pozzetto ne è la variante minimalista). Filini è estraneo alla storia che vive, non avverte, non comprende: è la donna accompagnata dal suo cavaliere in un bel tango tragicomico. Tra Filini e Fantozzi c’è uno scambio di intenzioni comiche, fisiche e concettuali, che creano nuove maschere perpetuando l’ingenuità, l’innocenza, la puerilità del gesto comico tradizionale. Un personaggio, Filini, che avrebbe meritato degli spin-off tutti suoi. Una coppia comica che, a differenza degli inarrivabili Cochi e Renato del teatro dell’assurdo lombardo, s’incastra nella storia degli Stanlio e Ollio più delle altre coppie comiche del nostro cinema. Franco e Ciccio erano il guizzo popolare. Totò e Peppino erano l’archetipo comico-mimetico. Villaggio e Reder erano, e sono, la pura maschera comica fisica, ma anche il segno comico di una satira leggera, dissociata e perché no, pure eversiva. L’inquadratura di Filini, di notte, al campeggio, che ode in lontananza l’ululato di Fantozzi: ecco lì siamo in un horror della Hammer.
Tornando a Fantozzi, Villaggio è geniale. E il genio si ripeterà anche ne “Il Secondo Tragico Fantozzi”, che sta al primo episodio come “Halloween II” sta all’originale di Carpenter e “Lo Squalo 2” sta all’archetipo di Spielberg, e si ripeterà anche in “Fantozzi Contro Tutti”. Poi i film a seguire, seppur belli, comprese le varianti fracchiane, sono la perpetuazione spersonalizzata di gag e situazioni già viste. Ma nulla toglie al ragioner Ugo Fantozzi: catastrofico, sovversivo, satirico, politico, surreale, allucinato, vagamente mistico, feroce, pungente, commovente ed estraniante. Il film infatti si apre con una chiara dichiarazione di intenti: il ragioniere-ingranaggio di un sistema-meccanismo disumano, che è stato murato vivo nei vecchi cessi. A ritrovarlo un dipendende che lo fiuta. Ritrovato, martellata in testa per lui. Feroce e autoriale denuncia satirica e gag fisica di eccezionale efficacia, l’inzio mette ben in chiaro l’intento denunciatario attraverso la forza del gesto comico più tradizionale. Fantozzi è stato il no plus ultra della vera commedia demenziale italiana, che oggi piange e si rotola nel fango con i cinepanettoni. Un film, quello di Salce, come sua tradizione era, che è impietoso verso le debolezze, le incoerenze e le ipocrisie dell’italiano medio e non medio del dopo-boom. Un film che oggi non troverebbe produttori, se non depurato dagli attacchi più vigorosi: i poliziotti che frustano Fantozzi e Filini, Gesù che cammina sulle acque e senza pani e pesci che moltiplica?, il mega direttore ereditario che si sovrappone a Dio, forse lo sostituisce pure nella religiosità aziendale del mondo capitalistico, berlusconiano diremmo oggi, e concede allo sfigato ragioniere il privilegio di essere Triglia.
Tutto va in un’unica direzione: quella dell’irriverenza e della derisione acuta e diretta del “sistema Italia”, orrendo e pericoloso ancora oggi. Una lezione di cinema, artisticamente come tecnicamente, dove trionfa l’universo mitologico che ancora ai giorni nostri è paradigma per nulla indifferente delle debolezze italiane. E poi “Cita Hayward”: punta di diamante di una mitologia tenera e arrabbiata. Un capolavoro.
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