Regia di Rainer Werner Fassbinder vedi scheda film
Anni fa non mi era granché piaciuto "L'amore è più freddo della morte" (1969), primo lungometraggio di Fassbinder (1945-1982). Con l'intermezzo dell'ottimo "Katzelmacher" (1969), "Dei della peste" è il seguito più che ideale del primo. E come il primo è un noir stilizzato che prende in prestito le atmosfere dei primi film della nouvelle vague (in particolare "Fino all'ultimo respiro" di Godard). A proposito dell'"Amore è più freddo della morte", scrissi che il finale sembrava quello di "Fino all'ultimo respiro" «ma girato da Brecht al rallentatore». E proprio Brecht, insieme all'autore francese citato e a qualche vaga reminiscenza dell'espressionismo tedesco degli anni venti (qualche gioco d'ombre, le acconciature dei personaggi soprattutto femminili), è il nume tutelare degli "Dei della peste". E l'effetto brechtiano è ancora più accentuato dal sonoro completamente fuori sincrono della copia che ho visto (cose del tipo di un tizio che entra in una stanza, si siede, dopo di che si sente una voce fuori campo che gli dice «si accomodi»). L'operazione di Fassbinder non è, nemmeno qui (al contrario dei due film che vengono prima e dopo questo "Dei", cioè "Katzelmacher" e "Il soldato americano"), completamente riuscita, anche se è da apprezzare il tono burlesco di certe scene (la scazzottata tra Franz, Gunther e Joe) survoltate come le comiche del muto, nelle quali sono inseriti questi personaggi «abbandonati senza speranza a sé stessi [...] relitti che galleggiano fino al naufragio finale» (Davide Ferrario), che in talune sequenze sembrano anticipare i tragicomici disgraziati di Cinico TV. Ci sono alcuni dialoghi degni di figurare in un'antologia del Teatro dell'assurdo, al fianco delle opere di Ionesco, come quando Franz domanda a Gunther se sia stato lui a "fare il servizio" (cioè a uccidere) suo fratello Marian e quello risponde «Già», dopo di che gli chiede se se la sia spassata con la sua donna mentre lui era in carcere e Gunther risponde di sì anche a questa domanda. «Sei un vero amico», conclude Franz.
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